Terremoto. pizza all'amatriciana

Terremoto. pizza all'amatriciana
di Luciano Pignataro
Martedì 30 Agosto 2016, 09:14 - Ultimo agg. 13:47
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Una pizza all’amatriciana di solidarietà. Questo è il grande contributo che Napoli può dare in Italia e nel Mondo per sostenere la ricostruzione nelle zone terremotate: e il messaggio può partire proprio dal Pizza Village che si presenta stamane a Palazzo San Giacomo. Iniziative spontanee in tal senso si sono già registrate sui social: da Caserta l’hanno lanciata poche ore dopo la tragedia i pizzaioli Francesco Martucci e Pasqualino Rossi o da Evansville in Indiana il pizzaiolo napoletano Alessio Lacco e da New York Rosario Procino della Ribalta.
È importante che l'energia che trasmette ogni anno il Pizza Village sul lungomare Caracciolo si trasformi in una fantastica spinta alla solidarietà, magari facendo ogni cinque margherite una all'amatriciana e devolvendo l'incasso alla Croce Rossa o alla Protezione Civile. Questa è la nostra proposta.

La pizza all'amatriciana non è una novità: l'ha pensata il romano Gabriele Bonci e lo stesso Martucci l'ha in carta da parecchio tempo. Una forma di contaminazione che ha un buon risultato al gusto e che in questo caso mette insieme i piatti indentitari di Roma e Napoli.

La forza della cucina in Italia è proprio questa, al di là delle spettacolarizzazioni televisive: la miniera di tradizione che ciascuno di noi si porta nel proprio bagaglio culturale e psicologico. Cosa si portavano gli emigranti del Sud al Nord e quelli italiani all'Estero? Il cibo di casa. Cosa si infilava nelle sacche da viaggio di chi faceva servizio militare o andava a studiare in università lontane? Il cibo di casa. E quanti dei ricordi che abbiamo delle nostre mamme e delle nostre nonne sono legati a quello che ci cucinavano? Tantissimi.

Ecco, proprio questo legame profondo, che è anzitutto gioia di vivere e piacere di stare insieme, tra le nostre comunità e i piatti della tradizione, la grande forza della cucina italiana. Una diversità che sta sfumando giorno dopo giorno sotto i nostri occhi perché scompaiono tanti piatti proprio come si estinguono le specie animali in nome della omologazione e delle esigenze produttive. Alla memoria dei fegatini, tanto per dire, subentra quella del Buondì. Oggi in tutti gli aeroporti e in tutte le stazioni si sentono gli stessi odori, si provano gli stessi gusti, quelli dei cibi imbustati e inscatolati. Anche in Italia questo processo progressivo di depauperamento gastronomico sta dilagando, ma in modo molto più lento perché la tradizione del cibo è uno dei totem che ci disegna ancora come comunità in una modernità liquida, dissolta tra la crisi delle ideologie e nella disperazione degli ego urlanti sui social network.
Ecco perché l'amatriciana è diventata un simbolo di solidarietà in un momento così tragico. Può far sorridere, forse, che un piatto diventi quasi una bandiera per una comunità che ancora ha voglia, nonostante tutto, di solidarietà, di dare senza ricevere altro se non il benessere spirituale di aver fatto la cosa giusta nel momento giusto.

Come sempre i simboli dividono. Chi non ricorda la polemica tra il Comune di Amatrice con Carlo Cracco sull'uso o meno della cipolla nella ricetta? Proprio come quelle sulla pizza di questi ultimi due anni. Ma, come sempre accade, nell'emergenza il simbolo torna ad essere una icona su cui non si discute più.

Dalla Val d'Aosta alla Sicilia, in questi giorni si sono moltiplicate a centinaia le manifestazioni di solidarietà attraverso l'amatriciana. Napoli come sempre può metterci qualcosa in più: oltre la pasta anche la pizza, il cibo più conosciuto. Lo può fare attraverso la rete formidabile sempre più forte delle migliaia e migliaia di pizzaioli che preparano la pizza napoletana (che non va confusa con le focacce) da Pechino a Tokyo, da San Francisco a New York, da Dubai a Londra, perché ovunque ci sia un napoletano c'è la pizza. Quella vera.
Che in questi giorni deve essere l'amatriciana.
A partire, come ci auguriamo, proprio dal Pizza Village.
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