La farina integrale? Buona per il pane ma non per la pizza napoletana

Antimo Caputo
Antimo Caputo
di Maria Pirro
Martedì 19 Maggio 2015, 17:12 - Ultimo agg. 17:13
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Antimo Caputo è il manager dell’Antico Molino Caputo, azienda leader nel settore, produttore di tutti i tipi di farine, dall’integrale alla 00: quale serve per pizze, dolci e street food?

«Non esiste la farina ideale, ma quella giusta a seconda della tecnica e del tipo di prodotto».



Ossia?

«Un biscotto deve essere friabile e per questo si utilizza una farina debole come la classica 0 oppure 00 che hanno una lievitazione veloce. Il babà, al contrario richiede volume nell’impasto per ottenere un’esplosione vera e propria della lievitazione, e quindi è preferibile una farina forte, in gergo chiamata manitoba che fa da struttura ai diversi ingredienti, dal burro alle uova».



Veniamo alla pizza.

«Per la tradizionale Margherita, fatta in casa, simile a quella che si mangia in pizzeria, meglio usare una farina di media forza 00, che è caratterizzata da una particolare rete glutinica e proteica, adatta a una lievitazione di almeno 24 ore e in grado di garantire una buona idratazione e quindi elasticità dell’impasto, che deve essere composto, in aggiunta, solo da acqua sale marino lievito e un filo di olio extravergine d’oliva».



Per lo street food, cosa consiglia?

«Sempre una farina di media forza, o rinforzata, più adatta a “reggere” le condizioni estreme della strada, anzitutto gli sbalzi di temperatura: è la migliore per garantire in circostanze variabili la stessa qualità del prodotto finale».



Quanto investe nella ricerca?

«Oltre la media di settore. Investiamo nello studio delle materie prime per capire quale tipo di grano è più adatto per un certo tipo di lavorazione, dal biscotto al babà, e per aggiornare le tecniche di macinazione, pur restando fedeli alla tradizione. Ma puntiamo anche sulla ricerca nel campo della sicurezza alimentare, che oggi è un tema centrale, per avere il controllo e una certificazione su tutti gli ingredienti utilizzati».



In concreto, che significa?

«Abbiamo un laboratorio accreditato a livello europeo che analizza tutte le fasi della vita del grano dal campo fino all’arrivo nel mulino. In questo modo, possiamo certificare che la farina prodotta è quanto più possibile genuina e naturale».



Che senso ha dire solo grano italiano?

«La premessa è che noi siamo i più grandi utilizzatori di grano tenero italiano nel Mezzogiorno: abbiamo un contratto di filiera con il consorzio di Latina, eppure dobbiamo necessariamente acquistarne altro, in aggiunta, proveniente da diversi paesi europei perché la produzione nazionale non è sufficiente per tutte le necessità. Dire «100% italiano» è un buon punto di partenza ma poi la qualità anzitutto dipende dai controlli eseguiti nella filiera».



La farina integrale è una moda?

«In un certo senso lo è. Perché ha molto senso nella produzione di pane, poco nei prodotti della cucina italiana. Che sapore può avere un babà prodotto con la farina integrale?».



Può essere usata ovunque e sempre?

«Per il pane, sicuramente. Per il resto è una scelta del pizzaiolo, dello chef o della massaia: è questione di gusto, anche se le caratteristiche del prodotto certamente non sono le stesse della farina bianca. L’integrale assolutamente non funziona per le lunghe lievitazioni, la tecnica che garantisce più leggerezza profumo e aroma».



La 00 è davvero un nemico della salute?

«Anzitutto, noi maciniamo e non raffiniamo. La 00 è simbolo della farina pura in tutto il mondo, senza l’aggiunta di alcun additivo, composta solo dal grano. Tutto sta nell’uso che se ne fa».

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