Mozzarella dop, primo sì all’uso del latte congelato

Mozzarella dop, primo sì all’uso del latte congelato
di Luciano Pignataro
Domenica 21 Giugno 2015, 10:54 - Ultimo agg. 11:18
3 Minuti di Lettura




Il «Niet» della Regione Campania è caduto ufficialmente venerdì sera e il Consorzio di Tutela ha avuto finalmente campo libero per superare il tetto delle 60 ore.



Un semplice numero su cui si discute ormai da tre anni e la cui rimozione, secondo il comitato paritetico del Consorzio di cui fanno parte allevatori e trasformatori, potrebbe aprire nuovi mercati alla mozzarella di bufala in un momento in cui è necessario esportare per salvarsi. Un po’ come accade per tutta la filiera italiana lattiero-casearia, la più importante del settore agroalimentare. 60 ore? Sono il tempo massimo di stoccaggio che il latte può avere prima di essere trasformato.



E questa norma, pensata per garantire un prodotto fresco al consumatore, di fronte ai nuovi scenari potrebbe rivelarsi una palla al piede fatale. Perché il problema fondamentale del comparto è molto semplice: d’inverno si produce di più e si consuma di meno, d’estate si produce di meno e si consuma di più. Dunque i conti non tornano e il range del prezzo del latte oscilla durante l’anno da 1,10 a 1,50 euro al litro. Troppo per garantire un reddito a chi alleva. La soluzione a questo problema «naturale» c’è con l’uso della tecnologia del freddo: congelare il latte in eccesso e rimetterlo in circolazione quando cresce il consumo di mozzarella nei mesi estivi. Ma proprio questa pratica è proibita dal disciplinare che adesso dovrebbe essere modificato. Diciamo dovrebbe perché mancano il parere delle organizzazioni di categoria e, soprattutto, il via libero definitivo di Bruxelles. «Ma un passo in avanti decisivo è stato fatto -spiega Corrado Martinangelo, coordinatore per il ministero del tavolo nazionale della filiera bufalina - perché si era fermi da tre anni e finalmente si è iniziato a discutere nel concreto. Anche questo è il risultato dell’aria nuova che si respira in regione Campania».



Già, cosa significa nel concreto? Che di concerto con il professore Campanile dell’Università di Napoli, si valuta quali cambiamenti sul prodotto finale possono avvenire con latte congelato. Se possiamo fare un paragone, quando al ristorante ordiniamo un piatto di crudo di mare abbiamo la percezione di mangiare di qualcosa di fresco, in realtà tutto quello che viene servito va per legge precedentemente abbattuto a -40 gradi per eliminare ogni rischio alla salute del consumatore. Il risultato non cambia. Ora, è il ragionamento, perché questo non dovrebbe valere anche per il latte? I vantaggi di questo via libera sarebbero due: primo la stabilizzazione del prezzo e la possibilità di fare contratti su base annua, secondo avere la possibilità di esportare un prodotto surgelato nel canale Horeca in tutto il mondo tutelato comunque dal marchio dop. Inviare un chilo di mozzarella in Usa, costa, con l’acqua di governo, dieci euro, ossia il doppio del prezzo di mercato in Italia. Eliminando l’acqua si dimezzerebbe la spesa.



«Si, questo è un primo passo - dice il presidente Raimondo - che fa i conti con una realtà cresciuta molto in questi venti anni e che adesso ha davanti a se un bivio: ridimensionarsi o crescere esportando». Cambiare il disciplinare offrirebbe lo scudo dop a quasi tutto il comparto. La discussione comunque è aperta: i puristi continuano a sostenere che l’uso del latte congelato cambia il prodotto. La volontà del comparto, almeno quello rappresentato dal comitato paritetico istituito dal Consorzio, va però in una direzione opposta.