Napoletani e rom uniti dalla cucina alla musica: così a Scampia vince l'integrazione

Napoletani e rom uniti dalla cucina alla musica: così a Scampia vince l'integrazione
di Rossella Grasso
Lunedì 25 Settembre 2017, 19:56 - Ultimo agg. 20:46
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«Ma come ti sei vestita oggi? Come una zingara?», dice Malina, rom del campo di Cupa Perillo a Emilia, napoletana. Subito scoppiano tutti a ridere. Scene di questo tipo succedono tutti i giorni a Scampia. Qui la comunità rom è presente dagli anni ’70, proprio da quando iniziarono i primi insediamenti anche dei napoletani. Una storia di integrazione che ha radici lontane e che vede oggi la realizzazione di tante iniziative che coinvolgono napoletani e rom allo stesso modo. L’esperienza più significativa in questo senso è quella del ristorante Chikù, dove lavorano donne napoletane e rom. Gli organizzatori del San Gennaro Day 2017, hanno riconosciuto la validità del progetto anche in riferimento agli ultimi fatti di cronaca, e hanno voluto premiare la loro attività. «Per aver fatto il miracolo di far incontrare due mondi che in genere non s’incontrano mai – si legge nella motivazione del premio consegnato durante la serata  – Grazie a Chiku, il primo ristorante italo-rom, la cucina napoletana e quella balcanica trovano una fusione e dimensione comune. Un progetto che va premiato per la creatività, il coraggio e l'innovazione di aver dato vita ad un ristorante multietnico e multiculturale che non solo fa incontrare mondi diversi, ma che lo fa a Scampia, un luogo che ha bisogno di essere valorizzato per dimostrare che in quelle strade c'è tanto da dire e da dare, in questo caso, seduti ad una stessa tavola che, attraverso il gusto, unisce».

A Scampia è la vita di tutti i giorni a testimoniare che i luoghi comuni sui rom non sono sempre veri. O almeno che si tratta di generalizzazioni che si possono applicare a chiunque. L’incendio del 27 agosto e la polemica che da giorni infiamma istituzioni e cittadini hanno portato i rom al centro dell’attenzione, ma ci sono ancora molte cose da chiarire. «Siamo cittadini italiani come voi – dice Valentina, rom di Cupa Perillo - non siamo zingari o rom. Siamo italiani e abbiamo documenti italiani, vogliamo giustizia e il diritto ad avere una casa, come tutti». Valentina ha visto la sua baracca bruciare e adesso è temporaneamente alloggiata nell’Auditorium di Scampia. La sua famiglia è composta da 11 persone che altrimenti non avrebbero avuto un tetto sotto cui dormire. È grata alla Municipalità per averle offerto un posto dove stare e a tutti i cittadini che da quando è partita l’emergenza hanno dimostrato la loro solidarietà portando lenzuola, vestiti, latte e medicine. Chi è rimasto a vivere nel campo invece ha paura che qualcuno possa andare lì e appiccare il fuoco. «Non si può vivere così – dice Valentina – abbiamo bisogno di una casa vera per stare tranquilli». La pensano come lei anche gli altri rom che sono all’auditorium: «Noi non vogliamo vivere nei campi abbandonati da tutto e tutti», dice Mario che è arrivato in Italia 26 anni fa. Adesso ha tre bambini, tutti nati in Italia, di cui il più grande va regolarmente a scuola. «Gli altri due devono aspettare ancora un altro po’, sono troppo piccoli».

«Quello che non viene raccontato – dice Barbara Pierro dell’associazione Chi rom…e chi no che da anni lavora in quel campo – è che molti dei rom che risiedono a Cupa Perillo hanno capovolto quello che normalmente è il pensiero comune che li vuole criminali, nomadi, autori di tutto questo deterioramento territoriale. Invece loro si stanno mettendo in gioco diventando artefici di un cambiamento e protagonisti del miglioramento del quartiere al quale loro si sentono di appartenere attraverso azioni concrete. Tanto che hanno denunciato e documentato presso le autorità competenti gli sversamenti illeciti di rifiuti che hanno visto avvenire nelle vicinanze». Barbara racconta che tra loro ci sono commercianti, cuochi, mediatori culturali e spesso lavorano in grande anonimato perché far conoscere la propria provenienza potrebbe creare loro grandi difficoltà. «Certo – chiarisce Barbara - c’è anche chi ha commesso reati come bruciare i rifiuti ma questi li chiamiamo criminali, come quelli che si prestano ad essere manovalanza di un sistema criminale molto più organizzato. Non li giustifichiamo, ma stiamo studiano il fenomeno». E tuttavia la ricerca di bassa manovalanza criminale non avviene secondo gli stessi criteri anche per i napoletani?
 


A Scampia ci sono tanti esempi di integrazione fatta tra napoletani e rom. La più emblematica è senza dubbio la Kumpania, la prima impresa sociale fondata da donne napoletane e rom con la stessa passione per la cucina. Hanno aperto il ristorante Chikù proprio sopra l’auditorium di Scampia dove preparano deliziosi piatti della cucina napoletana e rom e qualche prelibata creazione frutto dell’unione di due culture. Il clima in cucina è bellissimo: si scherza e si lavora, si condividono problemi e si fanno ‘inciuci’. Mentre raccontano la loro esperienza preparano la cena per gli sfollati di Cupa Perillo che alloggiano momentaneamente nell’Auditorium sottostante. «Ci conosciamo dal 2010 – dice Emilia – non c’è proprio il fatto che Malina possa essere rom e io napoletana. Poi abbiamo le nostre scaramucce…per noi è tutto normale». Napoletani e rom ci sono anche nel progetto di teatro e pedagogia ‘Arrevuoto’. Il progetto mette in connessione parti e vite diverse della città di Napoli, il centro e la periferia, i rom e i napoletani, gli adulti e i giovani. Poi a Carnevale nessuno può resistere alla tentazione di partecipare alla costruzione dei carri e scendere in piazza in parata con il Gridas.

Anche la musica testimonia che napoletani e rom hanno molte cose in comune. «Se vogliamo anche la posteggia napoletana è un modo di fare nomade – spiega Carmine Guarracino fondatore del gruppo ‘O Rom – Mandolino chitarra e tammorra rispecchia la formazione musicale rom. Ci sono somiglianze anche nel modo di cantare, nei testi, i melismi usati, tanto che se si ascolta qualche cantante moderno romeno sembra di sentire uno dei nostri neomelodici». Carmine Guarracino insieme a Carmine D’Aniello nel 2008 hanno fondato il gruppo che sin dal nome si presenta come una integrazione tra napoletani e rom. «’O Rom significa uomo nella lingua rom», spiega Carmine. I due sono capisaldi del gruppo di musica etnica ma attorno a loro ruotano tanti musicisti, tra cui anche i rom. Il loro primo album dal titolo “Vacanze Romanes” è un remake di musiche balcaniche e rom in lingua originale. Adesso stanno lavorando a un nuovo disco che vuole essere un mix delle due culture: «I tempi sono maturi e siamo in notevole ritardo per questa integrazione – dice Carmine D’Aniello – abbiamo un grande debito con i rom a livello musicale, ma anche a livello sociale. Ormai da anni sono abbandonati dalle istituzioni nei campi ma hanno il diritto di integrarsi, proprio come le nostre musiche». 
 

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