La Soprintendenza boccia il Corno di Natale: ma sul Lungomare resta il nulla

La Soprintendenza boccia il Corno di Natale: ma sul Lungomare resta il nulla
di Vittorio Del Tufo
Sabato 16 Settembre 2017, 10:02 - Ultimo agg. 18:09
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La cuccagna è già finita: la Soprintendenza non vuole il Corno. O, quantomeno, non lo vuole sul lungomare. Sospiro di sollievo? Per molti sì. È stato il gioco di società dell’estate, ha appassionato le masse e le oziose elíte, ha diviso politici e intellettuali. Corno sì o corno no? Parlarne male è stato un po’ come sparare sulla Croce Rossa, o arancione se preferite. Ora sono in tanti a gridare vittoria, mentre sul lungomare continua ad avanzare il nulla.

Restano in campo, per la disperazione degli intransigenti, le alternative più disparate (e inquietanti): per il monumento alla scaramanzia previsto inizialmente alla Rotonda Diaz, in realtà un gigantesco centro commerciale, circolano già altre location: da piazza Plebiscito alla stazione marittima, da piazza Municipio a piazzale Tecchio. 

La fallica installazione, par di capire, sta talmente a cuore al Comune e alla società Italstage che pur di realizzarla l’amministrazione e i suoi uomini-immagine, a partire dal fratello del sindaco, non esiterebbero a installare il manufatto altrove. A meno che la Sovrintendenza non decida di mettersi definitivamente di traverso. Vedremo. Ma per adesso ciò che stupisce, dispiace e un po’ sgomenta è che, mentre ‘o cuorno arretra, non un solo progetto alternativo (e di qualità) sia stato messo in campo per riqualificarlo davvero, questo lungomare liberato e abbandonato. Per farlo vivere - dopo la felice intuizione della pedonalizzazione - ovviamente nel rispetto della sobrietà e della felice armonia e allegria del luogo. Per sottrarlo, in definitiva, alla desertificazione e al buio (il tratto di via Caracciolo) e al degrado e alla giungla degli ambulanti (il tratto di via Partenope). Mentre a poca distanza la Villa Comunale continua a essere abbandonata a un vergognoso degrado.

È difficile dar torto al soprintendente Garella quando afferma che «proprio partendo dall’esperienza di N’Albero bisogna fermarsi a riflettere». È difficile dargli torto quando pone un problema di tutela ambientale e di rispetto dei luoghi; anche se poi si fa fatica a seguire il suo ragionamento quando ipotizza che il Corno possa essere realizzato in periferia, quasi che un crudele destino obbligasse quest’ultima a ospitare, come uno scarto, il baraccone rifiutato dai quartieri del centro con tutto il suo ambaradan. 
 


Detto questo, è altrettanto difficile non evidenziare il deficit di programmazione che impedisce di guardare avanti, di guardare oltre il Corno. Di superare una certa deriva popolaresca (e non popolare), immaginando ad esempio installazioni di qualità che richiamino le tradizioni senza pescare necessariamente nel trash, che parlino a Napoli, alla sua storia, alla sua cultura, senza ammiccare al cattivo gusto e risolversi, come da più parti è stato paventato, non senza ragione, in una gigantesca sagra paesana. Insomma, c’è un problema di regole da rispettare, di rispetto e tutela dei luoghi, di impatto ambientale. Ma c’è anche, più in generale, un problema di idee e di linguaggi. 

Il cuore del problema non è il Corno, ma il vuoto e il deserto oltre il Corno. È triste che non si riesca a contrapporre alle attrazioni da strapaese un teatro della memoria viva, un progetto di salvaguardia dei miti, dei simboli e del genius loci della città, ben oltre il folklore e gli alberi di cuccagna. Anche il Seggio del Popolo e il Catafalco della Selleria, in epoca aragonese e vicereale, erano straordinari simboli popolari, luoghi dove transitavano simboli e tradizioni, ma in quanti lo ricordano? Ecco, vorremmo parlare di memoria dei luoghi e di luoghi della memoria, come beni preziosi da coltivare, preservare, valorizzare. E perché no, trasformare in volàno di sviluppo anche economico: in economia del turismo. E vorremmo che questo lavoro di recupero della memoria producesse un’eco di consapevolezza che si diffondesse ovunque; e andasse ben oltre gli schiamazzi popolari e le ferie strapaesane. 

Perché Napoli non è solo scaramanzia, frastuono, superstizione, occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio.
Ed anche quando, nell’immaginario collettivo, la storia della città incrocia il mito e la leggenda, e si ammanta di una dimensione magica e simbolica - dalla sirena Partenope a Virgilio Mago - questo avviene in nome di ragioni più alte, le ragioni della storia e del mito di cui Napoli, e tutti noi, continuiamo a nutrirci. 

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