Napoli assaltata dai turisti
è l’Ottobre dei Monumenti

Napoli assaltata dai turisti è l’Ottobre dei Monumenti
di Pietro Treccagnoli
Domenica 9 Ottobre 2016, 22:18 - Ultimo agg. 22:55
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È l’Ottobre dei Monumenti. Un altro Maggio, l’eterno Maggio che dalla primavera inoltrata ha coperto l’estate e sta riempendo l’autunno che ci porterà a Natale. È inequivocabile la crescita del turismo a Napoli, basta scivolare per via Toledo tra street food e l’immancabile suq africano delle borse pezzotte, avviandosi ai Decumani, per vederlo con i propri occhi e sentirlo nelle orecchie con le numerose modulazioni linguistiche. E poi file davanti alle pizzerie più accorsate, al Cristo Velato della Cappella Sansevero, a Napoli Sotterranea, insomma tutto l’armamentario voluttuario della città. Negli ultimi anni, abbiamo assistito, godendo, a una crescita esponenziale che ha fatto proliferare ristoranti, gelaterie, rosticcerie, botteghe di souvenir e artigianato, bed & breakfast. È stata un’avanzata dal basso, come la foresta che solitamente non fa notizia, ma stavolta, eccezionalmente, fa notizia e cancella, non con la pioggia, ma con la legge dei numeri, il sangue che imbratta le strade e offusca le menti. 

I forestieri, in gran parte, sono entusiasti e starli a sentire significa sorbirsi il consueto e gradito repertorio di «beautiful», «wunderbar», «trés beau» e via straniereggiando. Più interessanti sono le analisi, le riflessioni, i consigli e le speranze di chi ha contribuito e sta contribuendo a innalzare la foresta e far sì che non sia il Maggio o l’Ottobre dei Monumenti, ma Tutto-l’Anno dei Monumenti. Al di là del cambiamento dei flussi turistici innescato dalla paura del terrorismo che sta privilegiando Napoli, al di là della competitività strutturale della città e al fascino bifronte (al di là del bene e del male) della sua stratificata bellezza, nella capitale del Sud è l’instancabile lavoro di chi s’è impegnato economicamente a fare da catalizzatore e da incubatore, a prescindere e spesso senza una visione coerente dall’alto che consenta di fare sistema e che crei sinergie tra pubblico e privato. Però, ascoltando gli esercenti, nessuno si lamenta del buon tempo. E vorremmo vedere. Piuttosto suggeriscono.

«Il turismo è la parte sana di Napoli» chiarisce subito Gigi Crispino che meno di un anno fa ha aperto a via San Giovanni Maggiore Pignatelli, un cardine di Spaccanapoli, la Salumeria UpNea, ristorante che ha subito spiccato il volo. «Si sta anche creando una positiva sinergia tra residenti e stranieri. Prevale un turismo di qualità, perché i più caciaroni puntano su altre mete: Amsterdam, Ibiza». Manca qualcosa e che cosa? «Servirebbe una formazione degli operatori. L’altro giorno nel mio locale tra camerieri e clienti si parlava solo inglese. Saper comunicare è sempre più indispensabile. Noi, il nostro, lo facciamo. Le amministrazioni dovrebbero incentivare le imprese serie, rivitalizzando, rendendo ancora più gradevole le zone turistiche e detassando le produzioni locali». Gli fa eco Marco Ferrigno, maestro presepista di San Gregorio Armeno: «Da qualche anno il turismo ci fa lavorare per tutt’e dodici mesi. Così quest’anno, come sempre più botteghe, siamo rimasti aperti persino ad agosto, lavorando molto bene con spagnoli, americani, in aumento, e persino con israeliani. Qualcuno, anche ristoratori molto affermati, non l’hanno capito e nei mesi più caldi hanno chiuso, senza rendersi conto che il futuro è stare aperti sempre e 24 ore al giorno».

Chiuse sono pure, in un sabato qualunque, un sabato napoletano, quasi tutte le chiese, persino le più belle, quelle che ogni forestiero vorrebbe visitare, ma che spesso è costretto a godersi solo dall’esterno, perché viene osservato religiosamente e burocraticamente uno spacco fatto di portoni sbarrati, almeno dalle 12,30 alle 16,30, se non più tardi e anche prima. Peccato. «Manca una visone d’insieme» insiste Lello Scuotto della Scarabattola di via dei Tribunali. «Occorrerebbe organizzarsi, magari un tavolo periodico con tutte le istituzioni e gli operatori. Noi ci crediamo. Quest’anno, per esempio, non portiamo nessun nostro presepe all’estero, ma puntiamo su un Natale tutto napoletano». Basterebbe poco per far girare meglio la ruota. «Certo» suggerisce Giancarlo Di Maio, libraio di Dante & Descartes, proprio di fronte al Gesù Nuovo. «In questi giorni per vedere arrivare da me più gente del solito sono stati sufficienti la rassegna di “Arte/Cinema”, Futuro Remoto e la riapertura della sezione egizia del Mann». 
Poco, molto? Napoli potrebbe bastare a stessa.

Del resto, per rendersene conto, fate un giro nel quadrilatero tra Spaccanapoli, via Duomo, Tribunali e via San Sebastiano (che da strada della musica si sta trasformando in percorso del vintage, con un aria vagamente londinese). La città si propone con un repertorio sempre più squillante che, solo a osservarlo binariamente, dà il capogiro: taralli ed ex-voto, calcio e presepi, cuoppi di frittura e Totò, rifugi bellici e polpi affogati, con Pino Daniele a palla di sottofondo. E in questo itinerario delle contraddizioni che si fanno spettacolo il turista, sfuso o in gruppi organizzati, trascinati dalla guida con ombrello alzato a mo’ di segnale di riconoscimento, impugnano mappe stradali o mettono lo smartphone in posizione da tiro. O magari cercano un barbiere, perché serve pure quello. «È là» indica un barista a un tedesco che riesce a farsi capire. «Scendete il vicolo dopo la scuola. È bravo, nu masto». 

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