Napoli. L'appello dei genitori di Livia, uccisa in tangenziale contromano: «Nello, perché lo hai fatto? Adesso devi dire la verità»

Napoli. L'appello dei genitori di Livia, uccisa in tangenziale contromano: «Nello, perché lo hai fatto? Adesso devi dire la verità»
di Viviana Lanza
Venerdì 5 Febbraio 2016, 08:49
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«Se potessi parlargli gli direi semplicemente Perchè lo hai fatto?. Solo questo. Saperlo ci aiuterebbe a far quadrare il cerchio e chiudere in un certo senso la storia. Nello deve parlare, deve farlo per sé stesso, per Livia se davvero l'amava, per il signor Miranda, che è altra vittima e non va dimenticata, e per la famiglia del signor Miranda». Gianfranco Barbato è il papà di Livia, la 21enne uccisa la notte del 24 luglio scorso dalla guida contromano in tangenziale del fidanzato Nello Mormile, ora in carcere con l'accusa di duplice omicidio volontario. Accetta di parlare del suo dramma, ora che l'indagine è conclusa e approderà davanti a un giudice. Livia era il suo modo di essere solare e socievole, il suo taglio d'occhi, il suo sorriso. Gianfranco è un papà giovane, che a Livia aveva dato la libertà di scegliere i suoi studi e seguire le proprie passioni, e orgoglioso di quella figlia che a sedici anni aveva già compilato il suo curriculum «in italiano e in inglese, tutto preciso e perfetto come era da lei».
Conosceva Nello? Le ispirava fiducia?
«A Livia avevo fatto tutte le raccomandazioni che fa un padre a una figlia e Nello sì, lo avevo conosciuto. Frequentava, anche se con moderazione, casa nostra, è anche capitato che siamo usciti tutti insieme con mia moglie, mio figlio, Livia e Nello. C'era tra noi una certa confidenza, sempre nel rispetto dei rispettivi ruoli e nei limiti della decenza e dell'educazione. Non avevo mai avuto alcun sospetto su di lui, zero assoluto e questa è una cosa che mi fa paura. Era il classico bravo ragazzo, con un lavoro, sogni che iniziava a realizzare, non era né il giovane disagiato né il figlio di papà».
Dopo il terribile impatto in tangenziale, Nello ammise subito a una delle prime soccorritrici accorse sul posto: «Ho fatto una cazzata». Cosa ne pensa?
«È la stessa frase che ha detto l'aggressore di quella giovane donna bruciata viva con un bimbo in grembo, giorni fa a Pozzuoli. Possibile ridimensionare tutto così? Le cazzate sono altre, questi sono atti criminali. E io ho scelto di parlare della nostra storia perché spero possa servire da monito a tanti ragazzi e ragazze, visti anche i recenti fatti di Pozzuoli, per cogliere quei segni che all'apparenza possono sembrare insignificanti. Se Livia li avesse colti sarebbe ancora qui con noi. O forse no. Davvero non riesco a trovare un senso, fosse stato un incidente classico sarebbe stato più facile da accettare ma così no. È difficile e ci sono ancora dei punti da chiarire».
Cosa non le quadra nella ricostruzione di Nello?
«Non soltanto l'inversione a U ma anche la scelta di imboccare la tangenziale. Per accompagnare Livia a casa non ce n'era bisogno. E poi la manovra e il resto.. mi è sembrata un'azione voluta. Dopo l'inversione Nello ha avuto modo di dire ho sbagliato ora accosto, ha avuto due aree di servizio, un'area di sosta e l'uscita di Fuorigrotta, invece è andato dritto tranquillo nella corsia sbagliata, a velocità non eccessiva e guidando in modo più o meno corretto. Non sembrava la guida di uno ubriaco che non fosse in sé».Cosa prova per lui?«Può sembrare assurdo ma non provo sentimenti di odio verso Nello perché lo conosco e ancora adesso, nonostante il fatto che che ci sia un video e ci sia la prova, stento a credere che abbia fatto ciò che in realtà ha fatto».
Gianfranco usa toni pacati, non scade nel vittimismo né cede al rancore, l'amore per la sua Livia è più forte. Cosa le manca di lei?
«L'allegria e gli abbracci all'improvviso. Con lei un discorso, un saluto, terminavano sempre con una battutina, con un sorriso, con l'allegria che ora in casa non c'è più. Ora c'è una sorta di cappa, di campana di vetro dove non si muove foglia e c'è questo». Gianfranco si interrompe per un attimo e rende il peso di quel silenzio, del vuoto. «Non riesco ad andare al cimitero, l'ho fatto solo il 25 dicembre perché il 24 mi era mancata in modo pauroso, e ci sono andato più per me. Speravo di stare meglio e invece è stato peggio. Penso sempre di avere due figli, una moglie e un cane e a volte mi capita di apparecchiare per quattro. Quando sono in crisi vado nella stanza di Livia e strimpello la chitarra come facevano insieme, ma non è la stessa cosa. Per fortuna le amiche di Livia ci sono vicine. Federica, in particolare, quando viene a casa entra nella stanza di Livia, apre il suo armadio, testa dentro e annusata».
È anche questo un modo per sentirla tra voi...
«Non ho mai portato anelli. Questo - dice mostrando un anello in argento che gli fascia l'anulare sinistro - era di Livia. L'ho trovato tra le sue cose e ora non lo tolgo più».
Trasformare il dolore in impegno può essere un modo per tenere vivo il ricordo di Livia?
«Sì, stiamo portando avanti un progetto intitolato Lilly Bartok, come il nome d'arte di Livia, che ha già consentito una borsa di studio a due giovani aspiranti fotografe di Scampia e domenica, al Piccolo di Fuorigrotta, ci sarà uno spettacolo teatrale con parte dell'incasso devoluto a favore di un progetto per bambini a nome di Livia. Ognuno di noi in famiglia cerca a suo modo di affrontare questo percorso di dolore. Ma è inutile dire che quando si chiude la porta e si resta soli è tutto diverso».
Innaturale...
«Sì. È la natura invertita, il nord che diventa sud, l'est che diventa ovest.

Doveva essere Livia a seppellire me e invece una persona ha deciso che non doveva andare così. E non uno sconosciuto o un folle ma la persona che diceva di amarla e alla quale l'avevo affidata credendo che le volesse bene almeno quanto me».