Almaviva, l'azienda ritira
la proposta di accordo

Almaviva, l'azienda ritira la proposta di accordo
di Cinzia Peluso
Mercoledì 7 Dicembre 2016, 11:53
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La svolta imprevista nella trattativa di Almaviva è arrivata ieri dopo il tavolo al ministero. L'azienda ha ritirato la sua proposta, che per evitare la chiusura dei siti di Napoli e Roma, prevedeva, tra l'altro, una riduzione dei salari. Un piano respinto dai sindacati. Ritorna così l'incubo dei 2.511 licenziamenti (845 solo a Napoli in via Brin). Restano pochi margini per scongiurarli. Certo, la procedura di mobilità è ancora aperta. Ma i tempi stringono. Il big bang della scadenza per il confronto è il 18 dicembre. Perciò la viceministro Teresa Bellanova ha invitato le parti ad una «trattativa ad oltranza». E «di fronte alla cristallizzazione delle posizioni», che era emersa nell'incontro di ieri, ha fissato un nuovo incontro per lunedì prossimo alle 15.

In realtà, la mossa dell'azienda ieri è avvenuta dopo che le tre sigle dei confederali avevano alzato il muro di fronte alla revisione del costo del lavoro richiesta dall'azienda di call center. Una proposta rigettata come «impercorribile» e «inaccettabile». Le dichiarazioni categoriche di chiusura erano state rilasciate poco dopo che era terminato l'incontro al ministero. È stato allora che l'azienda ha diffuso un lungo comunicato in cui spiegava le ragioni del suo passo indietro. Ma la Bellanova è decisa ad andare avanti nella sua azione di mediazione, perché, spiega al Mattino, «ci sono 2.500 persone, in bilico, che attendono con ansia una risposta, di sicuro il governo non intende assecondare tagli al salario dei lavoratori». «Noi da parte nostra - aggiunge la viceministro - abbiamo mantenuto gli impegni prevedendo nella legge di bilancio un aumento degli importi delle sanzioni da 10.000 a 150 mila euro contro la concorrenza sleale e rendendo effettivi i controlli sulle imprese che delocalizzano, inoltre abbiamo stanziato 30 milioni di euro per la cassa integrazione nell'intero settore dei call center. Nel frattempo, gli uffici competenti hanno già inviato le diffide e comminato le prime sanzioni ai call center inadempienti situati nei Paesi extracomunitari». Il rammarico è che «anche oggi (ieri per chi legge ndr) le parti non hanno fatto altro che rinfacciarsi le reciproche responsabilità sul mancato rispetto dell'accordo dello scorso maggio».

Oltre al salario, un altro punto di scontro è la produttività. «È indispensabile una trattativa tra azienda e sindacati su questo punto», ammonisce la Bellanova. In realtà, il negoziato su questo punto non è mai partito perché, spiega Pierpaolo Mischi, segretario nazionale della Uilcom (presente ieri al tavolo a Roma), «produttività significa controllo individuale a distanza e la regolamentazione con l'articolo 4 della legge 300 e le norme del Jobs act è poco chiara. C'è il forte rischio di un'invasione della privacy. Inoltre, in una materia così complessa non si può procedere con intese per singola azienda. Se si fa un accordo, infatti, deve riguardare l'intero settore. Del resto, sono state avanzate richieste di una trattativa su questo capitolo da molte aziende, da Telecom a Sky».

Ma il piano dell'azienda è articolato. Prevede un mix di interventi. Oltre a quelli su salari e produttività, ci sono l'uso degli ammortizzatori sociali e l'introduzione di strumenti di democrazia aziendale partecipativa. Tutti punti irrinunciabili per Almaviva, che ritiene questa l'unica strada per mettere in sicurezza l'attività. Si rammentano, in proposito, le cifre della crisi. «A settembre si è registrato un fatturato ridotto del 50% negli ultimi quattro anni, pari a 100 milioni di euro», mentre Napoli e Roma sono le sedi che hanno perso di più «con medie mensili di 1,2 milioni di euro su 2,3 milioni di ricavi».

Sui salari, Giorgio Serao, segretario nazionale della Fistel Cisl, spiega la contrarietà del sindacato: «Abbassare il costo del lavoro significa dare ad Almaviva un gap competitivo in più rispetto ad altri operatori e in questo modo rischiamo di annullare i vantaggi che le norme previste dal governo possono portare al settore». Critica anche Martina Scheggi dell'Slc Cgil: «Vogliono sia gli ammortizzatori sociali che l'abbassamento del costo del lavoro ed è una cosa non fattibile».

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