La resistenza
dei licenziati di Almaviva

La resistenza dei licenziati di Almaviva
di Pino Neri
Venerdì 7 Ottobre 2016, 09:02 - Ultimo agg. 20:00
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Non hanno alcuna intenzione di scioperare i lavoratori della sede di Almaviva Napoli, che l'azienda vuole chiudere entro il 18 novembre licenziando tutti gli 845 dipendenti. Il no allo sciopero è spuntato dalle assemblee non stop che i sindacati hanno tenuto ieri nel call center di via Brin. Stesso atteggiamento sta caratterizzando l'altra sede da tagliare, quella di Roma, dove sono ben 1666 gli addetti. I sindacati e gli operatori dell'ufficio capitolino di Almaviva sono stati convocati per oggi nella Regione Lazio dal governatore Nicola Zingaretti. Intanto il perché della decisione di non dare il via agli scioperi lo spiega Francesco De Rienzo, un giovane operatore del call center napoletano nonché delegato per la Slc Cgil. «Non vogliamo più rimetterci soldi - chiarisce Francesco - scioperare svuota le tasche. Inoltre siamo consapevoli che se lottiamo è perché ce lo chiede il padrone in quanto questa procedura di mobilità è un ricatto per ottenere dal governo il rilancio economico».

La sensazione è che però ci siano comunque oggettivi problemi finanziari. «C'è una verità - conferma Francesco - e cioè che il mercato non è regolamentato. E poi c'è il ricorso continuo da parte dei committenti, anche pubblici, alle gare al massimo ribasso. Basti pensare a che cosa ha fatto la Regione Lazio con la gara per il Cup, la prenotazione sanitaria telefonica: la gara è stata vinta con un'offerta di 0,29 centesimi al minuto. Ma per rispettare il costo del lavoro minimo, in base al nostro contratto collettivo nazionale, una gara non può scendere al di sotto degli 0,55 cent al minuto. Poi ad aggravare la crisi ci ha pensato il Jobs act, che ha dato incentivi alle nuove aziende concorrenti». Problemi strutturali che possono essere risolti solo dalla politica. Ergo: inutile scioperare, bloccare strade, sfogare la rabbia in piazza. «Tutto questo ce lo riserviamo per quando ci accorgeremo che non vorranno fare proprio niente», dice Daniela, 38 anni, una operatrice che ha due figli piccoli e che è separata da tempo. «È una posizione giusta - commenta Salvatore Topo, segretario generale regionale della Fistel Cisl - fare uno sciopero significherebbe agevolare Almaviva, che oggi sta chiedendo ai lavoratori di utilizzare le ferie e i permessi perché le chiamate non stanno arrivando».

Si attende la mossa del governo. Secondo quanto riferisce Osvaldo Barba, segretario generale della Slc Cgil di Napoli, il ministero per lo Sviluppo economico starebbe per convocare un tavolo nelle giornate del 12 e del 13 ottobre, trasformando così il tavolo puntato sui 400 trasferimenti dalla sede di Palermo a quella di Rende in un confronto nazionale sulle chiusure di Napoli e Roma. «Vogliamo organizzare anche un'assemblea nel call center con de Magistris e con De Luca - preannuncia Barba - tutto il peso del Comune, della Città metropolitana e della Regione dovrà essere presente in questa vertenza. Porteremo i lavoratori verso le istituzioni ma nello stesso tempo vogliamo le istituzioni dai lavoratori». Risponde a distanza Luigi de Magistris. «Saremo insieme ai lavoratori in ogni battaglia - riferisce il sindaco di Napoli - assistiamo sgomenti ad aziende che chiudono sedi per andare dove il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori sono a livelli bassissimi, nell'indifferenza del governo che pensa solo a un referendum teso a smantellare la Costituzione». Si moltiplicano i commenti politici.

L'M5S è durissimo. «Hanno giocato sulla pelle dei lavoratori Almaviva - scrive Luigi Di Maio - firmando prima delle elezioni un accordo che ora è carta straccia perché le aziende che non li rispettano da noi non vengono punite.

Intanto sembra strano che a maggio volevano chiudere Palermo e oggi invece chiudono Roma e Napoli. Forse perché in Sicilia a maggio si vota?». Arturo Scotto, deputato di Sinistra Italiana, chiede invece che «il Governo intervenga immediatamente». E Ignazio Messina, segretario dell'Idv, sollecita l'esecutivo a far applicare «misure di contrasto efficaci contro delocalizzazioni e massimo ribasso».

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