Andrea Covelli ucciso e sepolto a Pianura, viaggio nelle strade del clan: ​«Senza il nostro permesso qui non si passa»

Andrea Covelli ucciso e sepolto a Pianura, viaggio nelle strade del clan: «Senza il nostro permesso qui non si passa»
di Gennaro Di Biase
Lunedì 4 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 5 Luglio, 09:55
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Pianura è una montagna di delusioni e speranze, di camorra e di fede, di discariche e bar nuovi o vecchi, di promesse mancate che hanno reso la realtà impossibile. Il sole picchia forte, tra via Padula e il rione di via Torricelli, e mischia tutto ciò che avviene in queste strade: i sorrisi di umanità della brava gente e gli sguardi torvi nelle piazze di spaccio, i grandi gesti delle associazioni e i crimini orribili degli affiliati. Come quello di cui è stato vittima Andrea Covelli, ritrovato morto e nudo pochi giorni fa. C’è una commemorazione (con striscioni, foto e saluti) a lui dedicata, tra le case popolari e i palazzi incompiuti. «Andrea vive», «giustizia per Andrea», «ridateci Andrea». Quasi tutti gli uomini under 40, qui nel rione, portano la barba folta, apparentemente selvaggia ma curatissima, in stile jihad o barbudos napoletani. La portava lo stesso Andrea. Pochi minuti prima di trovare gli striscioni e le scritte fresche per Covelli, avevamo incontrato uno dei “checkpoint” che il sistema della malavita utilizza per controllare il territorio: «Non potete passare da qua - ci ha detto un uomo - Jatevenne e non fotografate niente». Ed è così che il cronista e il fotografo sono costretti per qualche minuto a desistere nel proprio lavoro. 

Cominciamo proprio da qui, dal punto in cui la forza ottusa della violenza vorrebbe impedirci di proseguire. C’è un murale, all’inizio di via Torricelli. È il disegno astratto di una bambina: ha una gabbia per uccelli gialla al posto del torace.

La gabbia è aperta, come per fuggire dalla facciata del palazzo popolare su cui la sua figura ha preso corpo e forma. Ci avviciniamo, per studiarla meglio. «Non potete restare qua - ci intima la voce di un uomo, napoletano, sulla cinquantina - Andatevene, jamm. Correte, altrimenti passate un guaio». Il tono è violento e calmo: la delinquenza, per uno lui, non costa niente. L’uomo che ci minaccia non sa neppure che siamo giornalisti. Il fotografo, Antonio Di Laurenzio, arretra di qualche passo, per motivi di opportunità. È possibile che anche Andrea Covelli sia stato ucciso per questioni di “sconfinamento”, perché non gradito al di là della linea di confine che separa via Napoli da via Torricelli. Una faida del marciapiedi, ha scritto ieri il Mattino, a conferma di una guerra tribale tra bande diverse per la conquista di una panchina o di un sottoscala in cui spacciare. Rimontiamo sullo scooter. A due passi dal “checkpoint”, nella chiesa del rione, si tengono decine di comunioni: gente benvestita e sorridente, che sembra planare da un altro pianeta rispetto al rione attiguo, da un’altra Pianura. Che però è sempre la stessa. Il quartiere di Gigi e Paolo uccisi per errore in macchina nell’agosto del 2000 mentre sognavano la loro vacanza in Grecia. Il quartiere della Falanghina e delle rivolte antidiscarica. Il quartiere illuso per la costruzione del polo del golf. Il quartiere in cui non si può attraversare da una via all’altra perché la camorra lo vieta. Possiamo raccontarlo per esperienza diretta. 

Inutile chiedere interviste. Nessuno ci mette la faccia, a Pianura. Nessuno ci mette nome e cognome. Neppure il parroco della chiesa di San Giorgio Martire del XVI secolo in via Comunale: «Mi hanno detto di non rilasciare interviste», sospira quando gli chiediamo di parlare del quartiere di questi tempi. A 10 metri dalla chiesa, dopo aver scansato la classica discarica, spicca un cantiere di lavori in corso «per la riqualificazione dei centri urbani». Di operai nemmeno l’ombra, in compenso si notano panni stesi sulle transenne del cantiere deserto. Un mix, del tutto spontaneo, di tanti temi di questa estate sahariano-napoletana, dal bonus facciate ai regolamenti urbani. Ma Pianura è ancora un altro mondo, un’altra Napoli nella Napoli da cartolina. Lo si capisce, ancora una volta, nell’area pedonale di corso Duca d’Aosta. Il parco dedicato a Falcone e Borsellino è un letamaio, chiuso e pieno di discariche da ogni ingresso (compreso quello affacciato sulla scuola Vittorino da Feltre).  

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Ai balconi, sventolano centinaia di immagini sacre di Giustino Russolillo, qui venerato come Padre Pio a Pietralcina. A terra immondizia, ambulanti di frutta semplice e frutti di mare, silos per il gasolio. Tante macchine e scooter che sbucano da ogni traversa. Si fa notare un furgoncino con due poster a coprire i vetri posteriori: Maradona e Gesù, per sempre uno affianco all’altro in questa effimera eternità napoletana. E «Giggione», un ragazzo morto da poco, di malattia, anche lui «barbudos», membro dei Fedayn, di cui svetta un murale in via Padula. Dice la signora Marisa: «Non c’è raccolta differenziata – dice – Paghiamo le tasse e non ci danno i contenitori adatti. Spesso manca l’umido. Tutti buttano tutto dappertutto». Enzo invece ha un bar: «Non sappiamo perché qua succedono queste cose – sospira – Ma il periodo è molto difficile, anche se ci si fa i fatti propri. Dispiace: Pianura è piena di abitanti, per lo più gente per bene. Non ci sono spazi per i giovani: si faccia di più».

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