Anna Mazza, la «vedova nera» più temuta dai clan

Anna Mazza, la «vedova nera» più temuta dai clan
di Marco Di Caterino
Martedì 26 Settembre 2017, 10:58 - Ultimo agg. 23:25
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Anna Mazza, vedova Moccia, per venti e più anni alla guida dell'omonimo clan, è morta ieri mattina nella clinica Villa dei Fiori di Acerra, dove era stata ricoverata il 17 scorso, per un grave malore che l'aveva colpita nel sonno. Aveva ottant'anni, e ad Afragola e in tutta la cinta dei comuni a nord di Napoli, sui quali il clan aveva (e ha tuttora) potere di vita e di morte, la chiamavano «la signora», artificio lessicale per evitare il sostantivo che le spettava: boss. Si chiude così una vera e propria epopea criminale, che ha segnato l'ultimo mezzo secolo della storia della camorra. Carattere forte, prima matriarca dell'onorata società, Anna è stata la prima donna in Italia ad essere arrestata per camorra.

«Vedova nera» della camorra - definizione della stampa dopo l'omicidio del marito Gennaro Moccia, che la indisponeva non poco - dal primo giorno della vedovanza ha guidato la «famiglia», retto uno dei clan più forti dell'intero panorama camorristico, e pagato un prezzo di lutto e dolore che avrebbe schiantato chiunque: dopo l'assassinio del marito (1977), quello del figlio prediletto, Vincenzo detto «Angioletto», massacrato di colpi la mattina del 21 novembre 1987 mentre era in semilibertà.

«Angioletto» stava scontando un residuo di pena legato alla condanna per aver ucciso, a sedici anni, nella piazza principale di Afragola, il maresciallo D'Arminio, comandante della locale caserma, mentre sceglieva con uno dei figli più piccoli una bicicletta per la befana. E per un personaggio come la Mazza, la storia e la cronaca lasciano il posto alle leggende. Come quella, mai dimostrata in un'aula di tribunale, di aver guidato un commando di affiliati già il giorno dopo la sepoltura del figlio Vincenzo, commando che arrivò a individuare tutti e dodici pregiudicati del clan Magliulo che avevano partecipato all'agguato. Quella che ne seguì fu una lunga catena di morti ammazzati, fino alla fine della faida, con una sanguinosa tabula rasa del cosca dal «colletto bianco». Un'altra leggenda, alimentata da diversi camorristi di seconda fila, vuole che poco prima dell'omicidio di Antonio Giugliano, presunto assassino di Gennaro Moccia - delitto avvenuto nel cortile di Castelcapuano - fu lo stesso Raffaele Cutolo a consegnare la pistola a uno dei figli di Anna Mazza - Antonio, 13 anni - per ripagare il sangue con il sangue.

Secondo gli inquirenti, fu lei nel 1992 a inventarsi la «dissociazione», una sorta di pseudo pentimento. Ma solo di facciata. In realtà, da abile stratega, temeva che per le dichiarazioni rese dal pentito Galasso i figli finissero in carcere. Allora fece una campagna pubblica. Invocò l'applicazione della legge sulla dissociazione dei terroristi ai detenuti per camorra, in modo da ottenere per loro sconti di pena senza pentimento. Ma senza successo. Scrisse persino al presidente della Repubblica, al Guardasigilli, ai vertici della Direzione nazionale antimafia, a don Ciotti, a don Riboldi, per perorare in particolare la causa del figlio Enzuccio: «Mio figlio è stato preso dalla stanchezza, dalla nausea e dal rigetto nei confronti dell'ambiente criminale nel quale ha ammesso di aver operato per tanti anni per vendicare l'uccisione di suo padre... È stato guidato dalla volontà di dare una possibilità di vita onesta, di pace e di laboriosità ai figli».

In precedenza, invece, la Mazza aveva scatenato un formidabile bailamme, quando fu mandata al soggiorno obbligato a Codognè in provincia di Treviso, dove vi furono sommosse popolari, attentati incendiari, blocchi stradali, e un incontro, anzi uno scontro a muso duro tra i quindici sindaci della sponda sinistra del Piave e l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino, cui fu chiesta la revoca del provvedimento. Era il 1993.

Si mossero anche i leghisti, tanto che l'allora procuratore nazionale antimafia, Bruno Siclari, dovette riconoscere che col soggiorno obbligato si rischiava l'infiltrazione mafiosa nelle regioni settentrionali. Insomma Camera e Senato, in tempo record, modificarono la norma sul soggiorno obbligato: il 30 luglio entrò in vigore la legge 256, che disponeva l'esecuzione della misura nel luogo di dimora abituale del condannato. Il 12 agosto la Mazza, sotto scorta, rientrò ad Afragola accolta dalla sua «scorta», tutta al femminile, che la accompagnò a bordo di Smart tutte rigorosamente di colore giallo, in modo da avere sempre ogni «precedenza». La sua capo scorta, Imma Capone, una donna di bell'aspetto e con notevoli «attributi», fu ricompensata dal clan. Le affidarono una azienda moribonda, la «Motrer», specializzata nel movimento terra. In poco più di un anno, la ditta diventò un vero gioiello imprenditoriale e azienda leader in tutto il Mezzogiorno. Ma il successo le diede alla testa. E così donna Immacolata iniziò a «parlare» con i Verde di Sant'Antimo, il clan del temibile «o negus», dalla lunga militanza cutoliana, mentre i Moccia erano un caposaldo della Nuova Famiglia. Imma Capone fu uccisa nel marzo 2004, nella strada principale del paese. I killer esplosero una gragnula di colpi, tutti a segno in volto e in testa, per «cancellare» per sempre chi aveva tradito.

Ieri la saga terrena di Anna Mazza, che come unico cruccio aveva quello di non farsi fotografare in occasioni pubbliche, si è conclusa senza che la donna riprendesse più conoscenza. Accanto a lei e fino all'ultimo respiro i suoi figli: Antonio, Luigi, Vincenzo (al soggiorno obbligato a Roma, per fine pena) e Teresa, spostata con Filippo Iazzetta, che gli inquirenti e la Dda ritengono sia il capo del braccio armato della cosca. Alle 16 è stata aperta la camera ardente nella villa di Via Rossini, dove si è riversata una fiumana di persone. Tra queste sicuramente tante che l'hanno rimpianta con sincerità, per la beneficenza ricevuta dalla «signora». E con la stessa amara sincerità, è stata forse maledetta senza pietà cristiana da quanti nel corso di questi cinquant'anni hanno dovuto piangere familiari uccisi. I funerali, dopo una lunga trattativa tra la famiglia e la questura, si terranno questa mattina alle otto nella basilica di Sant'Antonio di Afragola, ma con l'assoluto divieto imposto dal questore di fare il corteo di accompagnamento al camposanto.
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