L’annus horribilis
di San Gennaro

di ​Pietro Treccagnoli
Mercoledì 28 Settembre 2016, 08:47 - Ultimo agg. 08:56
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Per fortuna invece di un’«Operazione San Gennaro», con tanto di furto del Tesoro del patrono di Napoli, s’è risolto tutto in una rivisitazione, per quanto più sostanziosa, de «I soliti ignoti». Da Dino Risi a Mario Monicelli, dalla mitra di diamanti rubini e smeraldi alla pasta e ceci. Una pasta e ceci di diecimila euro, certo, ma che, a petto del valore incalcolabile del Tesoro che manco i Lloyd di Londra l’hanno voluto assicurare, è un contentino.  Il fatto, nudo e crudo, è questo: un gruppetto di ladri, nella notte tra domenica e lunedì, ha messo a segno un bel colpo nello studio del parroco del Duomo, don Enzo Papa. Hanno aperto la cassaforte e portato via i soldi che servivano a pagare gli stipendi dei dipendenti, in parte raccolti nelle celebrazioni, appena concluse, del miracolo di san Gennaro.

Le modalità del furto fanno sospettare che ci sia la zampa di una talpa: un’operazione mirata da parte di qualcuno che sapeva dove mettere le mani e, per fortuna, disinteressato al Tesoro e alle reliquie, che sono sì preziosissimi, ma di fatto non commerciabili. Il latrocinio, per la vicinanza con i luoghi più venerati dai fedeli napoletani, ha un forte impatto simbolico. Ma soprattutto indica la vulnerabilità di alcuni luoghi sacri che, sebbene non siano stati privati di beni religiosi, sono stati comunque violati. Il Museo e la Cappella che appartengono alla Deputazione e che custodiscono ed espongono il vero patrimonio del martire dello scioglimento del sangue, del primo cittadino di Napoli, del sindaco dei santi, hanno un sistema di sicurezza molto sofisticato, fatto di telecamere e sensori che individuano finanche una mosca. Il recente sistema di controllo del Duomo e delle zone adiacenti che afferiscono alla Curia, installato appena due anni fa, dopo anni in cui è mancato totalmente perché il vecchio s’era guastato, ha mostrato invece un cono d’ombra, a prescindere dall’abilità dei nostrani Diabolik.

L’incursione, al di là del bottino, contribuisce a fare del 2016 un «annus horribilis» per il santo. Nella scorsa primavera la città si è mobilitata contro il decreto del ministero dell’Interno che imponeva l’ingresso nella laica Deputazione, da secoli sola custode del santo, del Tesoro e della Cappella, di rappresentanti della Curia. Dopo un lungo braccio di ferro, mentre la notizia faceva il giro del mondo, è prevalso il buon senso e san Gennaro ha fatto il miracolo di far scoppiare la pace grazie all’annullamento del diktat romano. 
Adesso, l’incursione nella cittadella del patrono, proprio a ridosso delle giornate della venerazione delle prodigiose reliquie, riaccende i riflettori e riaccende pure la passione popolare che non fa velo allo sdegno per l’atto che potenzialmente poteva essere più sacrilego di quanto sia stato effettivamente. Resta la ferita, ma accompagnata da un sospiro di sollievo. Trattasi di soldi, solo di soldi e poco altro. Niente di irreparabile. Il santo là sta e non c’è bisogno di nessuna operazione riparatoria. Armandino «Dudù» Girasole, alias Nino Manfredi, non deve scapicollarsi a restituire nulla. Però permane un monito che non va messo tra parentesi: se san Gennaro protegge Napoli anche i napoletani devono proteggere san Gennaro.
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