Banche venete, i crediti deteriorati
a Sga che liquidò il Banco di Napoli

Banche venete, i crediti deteriorati a Sga che liquidò il Banco di Napoli
di Umberto Mancini e Andrea Bassi
Lunedì 26 Giugno 2017, 11:14 - Ultimo agg. 16:42
6 Minuti di Lettura

ROMA. Banche Venete salve per decreto. Con una operazione da 17 miliardi che evita in extremis il fallimento, mette in sicurezza correntisti e depositanti, salvaguarda le attività economiche di una delle zone più ricche del Paese e, giurano il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, rispetta in tutto e per tutto le regole europee. Si è conclusa così, dopo soli 20 minuti a Palazzo Chigi, la riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. 

La vigilia è stata invece faticosa e travagliata con un negoziato durato oltre 72 ore. Il provvedimento - a cui hanno continuato a lavorare per tutta la notte i tecnici del Tesoro, insieme ai legali di Intesa Sanpaolo e in stretto contatto con la Ue - mette in campo, come accennato, un impegno fino a 17 miliardi. 

Una cifra più teorica che reale, almeno negli auspici del Tesoro che spera di spendere molto meno, recuperando una quota dei crediti deteriorati che finiranno nella bad bank pubblica. Da subito però lo Stato staccherà un assegno da 5,2 miliardi ad Intesa Sanpaolo - che si fa carico della parte sana delle due banche incorporandole nel gruppo. Risorse che serviranno a rafforzare il patrimonio e, contestualmente, a garantire un adeguato livello di capital ratios, ovvero una capitalizzazione in linea con il nuovo assetto. Nella cifra - definita tecnicamente da Padaon un anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche» - sono compresi anche 400 milioni a garanzia dei crediti dubbi che l'istituto di Ca'de Sass si accollerà. In questo modo la banca guidata da Carlo Messina, che ha visto riconoscere buona parte delle sue richieste, non dovrà fare aumenti di capitale e manterrà intatti, cioè super solidi, i propri indici patrimoniali. Gentiloni oltre ad esprimere apprezzamento per l'intervento di Intesa, «vera banca di sistema e asset del Paese», può quindi archiviare la pratica che rischiava di mettere in crisi il governo. «Questo decreto - ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa - rassicura, dà stabilità al sistema bancario, evita un fallimento disordinato ed è cruciale per la ripresa, i dipendenti e i risparmiatori». Sulla stessa linea Padoan che, piccato per le critiche, ribadisce come non ci fossero alternative a questa soluzione. «Anzi - sottolinea - l'alternativa era solo il fallimento, a costi molto maggiori». «Da oggi - aggiunge - la due banche saranno operative per effetto di un intervento che, ribadisco, rispetta le regole europee». In effetti per i correntisti delle due banche venete, inglobate da Intesa, non cambia nulla, così per i possessori delle obbligazioni senior, che verranno ristorati al 100%. Gli sportelli saranno operativi su tutto il territorio, cambieranno solo i nomi sulle insegne: Nuova Popolare di Vicenza e Nuova Veneto Banca. Per prestiti, depositi e le altre operazioni bancarie tutto resta immutato.

Da gestire invece il capitolo spinoso della bad bank. Il veicolo in cui confluiranno i crediti deteriorati dei due istituti e per il quale il Tesoro ha mobilitato risorse per 12 miliardi, di cui 6 per i prestiti difficilmente recuperabili, 4 per quelli ad alto rischio e il resto per le partite difficili. Nei 17 miliardi complessivi, ha sottolineato Padoan, non ci sono invece i soldi per il rifinanziamento del Fondo esuberi che vale circa 4,7 miliardi. Un tema non trattato dal decreto, ma che rientra nel piano di salvataggio visto e considerato che le eccedenze di personale delle due venete sfiorano quota 4 mila. Plaude Lando Sileoni, numero uno della Fabi, che vede così scongiurati migliaia di dolorosi licenziamenti.
Soddisfatto Carlo Messina, dominus dell'operazione: «Senza l'offerta di Intesa la crisi delle due banche avrebbe avuto un grave impatto sull'intero sistema bancario italiano, con conseguenze drammatiche sull'economia nazionale, mettendo anche a rischio le prospettive di ripresa del Paese. Il nostro intervento consentirà di mettere in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche e di tutelare 2 milioni di clienti, di cui 200.000 aziende operanti in aree tra le più dinamiche del Paese. L'integrazione delle due banche e del relativo personale sarà gestita senza licenziamenti ma solo attraverso uscite volontarie».

Infine, Intesa contribuirà al ristoro degli investitori retail di obbligazioni subordinate per un ammontare complessivo di 60 milioni. Dunque, per la terza volta in pochi mesi, il governo italiano riesce a dribblare il «bail-in», la normativa europea che impone agli Stati di far pagare anche ai risparmiatori e ai correntisti con depositi oltre i 100 mila euro il conto delle crisi bancarie. E lo fa, ancora una volta, riuscendo a navigare tra le vie strette della normativa europea. Se con le quattro banche (Etruria, CariChieti, Marche e CariFe) era stato usato il cosiddetto «burden sharing», creando poi un percorso per indennizzare fino all'80% anche gli obbligazionisti, e se per Mps la via è stata quella della ricapitalizzazione precauzionale, una nazionalizzazione a tempo della banca, il percorso scelto per le venete è una liquidazione sostenuta con aiuti di Stato indirizzati soprattutto verso il compratore della parte sana degli istituti, ossia Intesa San Paolo. Anche questa volta è stato necessario ottenere un via libera da parte della Commissione europea, che nella serata di ieri ha fatto sapere con un lungo comunicato le ragioni per le quali ha dato il suo disco verde al piano del Tesoro. 

«L'Italia», ha spiegato la commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, «considera l'aiuto di Stato necessario ad evitare turbolenze economiche nel Veneto» in seguito all'uscita dal mercato della Popolare di Vicenza e Veneto Banca «dopo un lungo periodo di difficoltà». Il sì di Bruxelles, ha spiegato Vestager, è arrivato perché azionisti e detentori di debito subordinati hanno «pienamente contribuito» e le misure «rimuovono» 18 miliardi di crediti cattivi, contribuendo al consolidamento del sistema. A pagare dazio, in realtà, è stato in primis il fondo Atlante, il veicolo finanziato dal sistema bancario che ha bruciato nel precedente tentativo di salvataggio delle banche venete 3,5 miliardi. La nuova pezza, quella messa dallo Stato, vale invece 4,8 miliardi di euro, ma con garanzie per altri 12 miliardi e che per ora comportano un esborso di soli 400 milioni. Lo scudo potenziale dello Stato, insomma, vale 17 miliardi di euro. A cosa serviranno gli aiuti pubblici? Banca Intesa, che verserà simbolicamente un euro per rilevare le due banche, riceverà un supporto finanziario di 3,5 miliardi per evitare che l'acquisizione dei crediti peggiori i suoi parametri patrimoniali.

Circa 1,3 miliardi di euro, invece, saranno trasferiti a Intesa, per gestire gli esuberi del personale, parte del quale resterà alle banche in liquidazione che potranno contare su un prestito della stessa Intesa.

I crediti deteriorati verranno invece trasferiti alla Sga, Società per la gestione di attività, il veicolo che ha gestito con successo la liquidazione del vecchio Banco di Napoli, e che oggi è controllata dal Tesoro. I proventi del recupero crediti da parte della Sga, serviranno per tappare i buchi lasciati dalle due vecchie banche. Tra Intesa e le banche in liquidazione resteranno aperte un paio di sliding doors. L'istituto guidato da Carlo Messina farà una due diligence sui crediti che le saranno trasferiti, e quelli che dovessero risultare non «in bonis» potranno essere ritrasferiti alle vecchie banche fino ad un massimo di 6,3 miliardi di euro. Non solo. Intesa potrà ritrasferire, entro tre anni, anche i crediti considerati «ad alto rischio». Su questi ci sarà una garanzia statale fino a 4 miliardi di euro. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA