Boldrini oggi arriva a Scampia: le riforme non sono un patrimonio solo di Renzi. Ora dia una risposta sulle unioni civili

Boldrini oggi arriva a Scampia: le riforme non sono un patrimonio solo di Renzi. Ora dia una risposta sulle unioni civili
di Marilicia Salvia
Mercoledì 30 Dicembre 2015, 08:33 - Ultimo agg. 10:49
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Dare ai cittadini le risposte di cui hanno bisogno: per la presidente della Camera Laura Boldrini il senso della politica è tutto qui, un senso semplice ma solido, rigoroso. Ed è questo mantra che la accompagnerà stamattina a Scampia, nella sua prima visita istituzionale nel quartiere simbolo di una periferia in cerca di riscatto: «Voglio accendere i riflettori sulle buone pratiche messe in atto dai giovani che lì si sono organizzati in un’associazione - spiega - perchè sia chiaro che gli antidoti alla camorra e al degrado bisogna trovarli in se stessi, senza aspettare improbabili miracoli dall’esterno. Ma voglio anche ribadire che non c’è periferia che sia irrecuperabile, e che la strada del recupero passa per adeguati investimenti in politiche sociali, per opportunità di lavoro e per il ripristino di legalità e sicurezza: ecco perché incontrerò anche polizia e carabinieri che lavorano nel quartiere».
Presidente, lei arriva a Scampia a chiudere un anno contrassegnato da impegni e promesse seguite alla visita che in questo quartiere ha fatto nel marzo scorso papa Francesco. In questi mesi però poco o nulla è cambiato: perché la politica dimentica tanto facilmente gli ultimi?
«La politica e le istituzioni devono esserci sempre. La democrazia non sta bene in salute se lascia indietro i più deboli: ma la salvezza, per usare un termine che piacerebbe a papa Francesco, non viene da fuori. Il rilancio di Scampia dipende dai suoi cittadini, dalla amministrazione locale, dalle scelte messe in atto all’interno della comunità. Uno sforzo che va accompagnato, incoraggiato».
È quello che farà stamattina?
«Questa mia visita nasce da una promessa che avevo fatto ai fondatori dell’associazione Voci di Scampia che mi erano venuti a trovare a Montecitorio, portandomi una scatola con i frutti del loro lavoro a favore dei bambini disabili e dei ragazzi disagiati del quartiere. Quindi sì, voglio incoraggiarli perché ritengo importante che le istituzioni riconoscano e diano valore alle cose che funzionano: questi giovani che si sono rimboccati le maniche e hanno preso in mano il loro destino e quello dei ragazzini di cui si prendono cura, hanno capito che la camorra è schiavitù e non si può vivere da schiavi. Ecco, loro agiscono a testa alta senza aspettare miracoli esterni».
La sua visita a Napoli arriva all’indomani della conferenza stampa di fine anno del premier. Che ha delineato un quadro complessivamente positivo dell’attività del suo governo e ha lanciato una sfida: se le riforme costituzionali non passeranno il vaglio del referendum andrà a casa. Le sembra più una manifestazione di forza o di debolezza?
«Né l’una né l’altra. È una valutazione di Renzi, una sua scelta, quella di legare la vita del governo all’esito del referendum, che dà il senso di quanto il governo abbia investito sulla partita delle riforme. In Parlamento c’è stata una discussione molto accesa, in alcuni momenti anche aspra, sul modo di superare il bicameralismo perfetto. Ma nessuno ha proposto di conservare la situazione esistente, quindi il confronto non è stato tra innovatori e conservatori ma tra diverse ipotesi di riforma. Ha prevalso l’impostazione della maggioranza, la quale dopo gli ultimi passaggi parlamentari sarà sottoposta al vaglio del referendum. Mi auguro che ci sia un’ampia partecipazione perché si tratta di modifiche alla nostra Costituzione».
Dunque questa presa di posizione non rispetta il lavoro del Parlamento?
«Non è questo il punto, è ovvio che poi il dibattito è rimasto in piedi sulle risposte che sono state date dalla maggioranza e dal governo a questo indubitabile bisogno di cambiamento. Ripeto, dall’affermazione di Renzi trapela quanto lui ritenga forte l’identità tra il suo governo e queste riforme».
Un altro passaggio che ha immediatamente rinfocolato polemiche è quello che riguarda le unioni civili. In Parlamento la discussione è bloccata da mesi. Lei vede margini per superare il muro contro muro?
«Su temi come questo non si deve arrivare al muro contro muro ideologico, va cercata una sintesi e poi bisogna decidere per dare ai cittadini le risposte di cui hanno bisogno. La politica è questo. Non possiamo lasciare nel guado tutte le coppie che aspettano di vedere regolamentate le loro unioni, sono persone vere e la politica ha il dovere di dare risposte. Oltretutto su questo tema siamo spaventosamente indietro rispetto al resto dell’Europa».
E tuttavia lo scontro, in particolare sulle adozioni per le coppie gay che Renzi ha ribadito essere un passaggio irrinunciabile, rimane accesissimo. Come se ne esce?
«Come presidente della Camera io ho il dovere di essere ottimista. Bisogna essere capaci di rinunciare alle contrapposizioni ideologiche e dare certezze normative. Se la gente si allontana dalla politica è anche perché la sente lontana, e questo non è più accettabile».
A proposito di risposte concrete ai problemi: nascerà una commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche?
«Allo stato ci sono varie proposte di legge per la sua istituzione. Ci sarà un iter parlamentare e la discussione dovrà servire a valutarne opportunità e vincoli. Soprattutto bisognerà trovare il modo di evitare che, trattandosi di attività contemporanee, il suo lavoro vada a sovrapporsi a quello della magistratura».
Presidente, un tema che le sta particolarmente a cuore è quello delle politiche sull’immigrazione. Come giudica le risposte in arrivo dall’Europa?
«L’Europa vive un momento di stallo, non solo sui temi dell’immigrazione ma dell’integrazione politica, economica, sociale. Questo dell’immigrazione è un banco di prova significativo, perché per esempio sul diritto di asilo permangano 28 diversi sistemi. Bisogna capire che o si arriva subito a una svolta e si realizza il disegno federalista o in Europa vinceranno le forze di disgregazione: ma così il Vecchio Continente sarà condannato all’irrilevanza sulla scena globale».
Lei nei mesi scorsi si è fatta promotrice di una iniziativa assieme ad altri tre suoi omologhi, attraverso la firma di una dichiarazione congiunta. Cosa è rimasto di quel progetto?
«Stiamo andando avanti, nel frattempo le firme al documento sono diventate dieci. Noi presidenti di assemblee parlamentari vogliamo condividere sovranità con le istituzioni europee, favorire l’integrazione politica e realizzare davvero l’Europa dei cittadini, l’Europa 2.0. Ho anche deciso di aprire una consultazione pubblica sulla dichiarazione per una maggiore integrazione politica europea perché tutti gli italiani possano leggerla e dare contributi; conto che altri presidenti di Parlamento in Europa facciano altrettanto. A maggio poi in Lussemburgo ci sarà l’incontro di tutti i presidenti dei Parlamenti d’Europa e la dichiarazione sarà oggetto di un confronto».
Quel è la linea guida?
«Nell’Eurozona abbiamo vincoli fiscali, la Germania vuole un ministro delle Finanze europeo? Bene, ma allora serve anche un ministro dell’economia reale, serve un Social compact. Serve fare qualcosa perché la gente torni a volere l’Europa: ad esempio un reddito di dignità per gli indigenti dell’Eurozona, da finanziare con una imposta sulle transazioni finanziarie o con la carbon tax».
Intanto, nell’Europa confusa di questi giorni stenta a trovare concretezza anche un provvedimento apparentemente semplice come la distribuzione per quote dei profughi.
«A complicare le cose sono alcuni Paesi che rifiutano di fare la loro parte pur beneficiando dei vantaggi economici di essere nell’Ue. Penso che vadano previsti meccanismi di condizionalità, per cui i Paesi che insistono nel loro rifiuto vengano penalizzati nell’erogazione dei contributi. Anche questo rende evidente quanto sia necessaria una riconsiderazione degli assetti europei. Bisogna rimettere in sesto l’Europa, perchè senza Europa per noi non ci sarà futuro».
 
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