Sempre più donne e stranieri, così i clan della camorra cambiano faccia

Sempre più donne e stranieri, così i clan della camorra cambiano faccia
di Giuseppe Crimaldi
Domenica 30 Luglio 2017, 18:48
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Sono giovani, senza una prospettiva di lavoro e pronti a tutto. Vengono spesso da paesi lontani ma per «arruolarli» basta poco. Sempre più stranieri finiscono nelle fila dei clan di camorra tra Napoli e Caserta. Depotenziati dagli arresti e dagli effetti delle varie faide, i gruppi criminali organizzati assoldano una «manodopera» che, a ben guardare, risulta doppiamente conveniente: sia in termini economici che dal punto di vista operativo.

Dai vicoli di Forcella e della Duchesca a Chiaiano, da Melito a Giugliano, fino a Castelvolturno ed oltre le più recenti informative di polizia giudiziaria consegnate alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli contengono nomi di queste nuove leve di delinquenti che si affiliano ai clan. Durante la faida di Scampia le indagini degli inquirenti sfiorarono anche un altro aspetto, occupandosi di killer professionisti assoldati dalle cosche per mettere a segno omicidi eccellenti: come nel caso di un sicario fatto arrivare in città dall'Albania, il quale solo un'ora dopo aver portato a termine la sua missione di morte era già pronto a tornarsene in patria.

Solo una settimana fa a Giugliano un ragazzo di soli 22 anni - Enis Mahmoudi, origini marocchine - è stato trucidato in un agguato a Giugliano. Il ragazzo, questo hanno dal primo momento indicato le indagini, si era legato al gruppo degli scissionisti della famiglia De Biase, per conto dei quali avrebbe anche messo a segno estorsioni ad alcuni commercianti, provocando così la reazione del clan Mallardo. Un'esecuzione spietata: la vittima è stata ferita, inseguita e «finita» con due colpi in pieno volto. Un anno fa la stessa sorte era toccata a un altro giovane di origini nordafricane: Mohammed Nouvo, assassinato insieme con Alessandro Laperuta in un appartamento di Melito. Nouvo avrebbe assunto un ruolo troppo autonomo nei traffici di droga gestiti dal clan Amato-Pagano, uno sgarro imperdonabile che alla fine gli è costata la vita.

Anche dal Casertano arrivano segnali precisi e allarmanti. In particolare a Castelvolturno la «mafia nera» dei nigeriani ha rotto anche l'ultimo argine: e così oggi gli africani dettano legge e si impongono anche nei confrotni degli altri gruppi criminali della zona. Nei confronti di un gruppo di questi stranieri è stata anche pronunciata una sentenza di condanna per associazione mafiosa.

La relazione della Dia. A questo scenario si affiancano i risultati dell'ultimo rapporto stilato dalla Direzione investigativa antimafia, che fornisce il quadro più aggiornato della situazione evidenziando come si sia di fronte a «uno scenario instabile e in costante trasformazione».

I dati più interessanti diffusi dall'organo investigativo guidato da Giuseppe Linares sono almeno tre. Tanto per cominciare si conferma la «transitorietà degli equilibri criminali: precarietà e inconsistenza rappresentano le caratteristiche dei gruppi emergenti», soprattutto nella città di Napoli. Secondo: si conferma l'abbassamento dell'età di capi o e affiliati con la trasformazione dei clan in gang, più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato, quando un gruppo era in grado di mantenere l'ordine sul proprio territorio». Cresce anche il numero delle donne-boss: a tal proposito la Dia cita l'esempio del gruppo Sibillo, decimato da omicidi e arresti, che oggi vedrebbe al comando alcune donne. Anche sul piano socio-antropologico le nuove bande di criminali appaiono in mutamento. «A Napoli - spiega il rapporto - soprattutto alla Sanità, Forcella, Mercato, Pianura, Soccavo, Ponticelli, San Giovanni e Barra i camorristi sembrano aver elaborato un'identità comunicativa collettiva per riconoscersi e diversificarsi con barbe lunghe e tatuaggi autoreferenziali di appartenenza a un clan».

«Ci si trova così - proseguono gli analisti - di fronte a tanti piccoli eserciti senza una vera e propria identità criminale che utilizzano la violenza come strumento di affermazione ed assoggettamento, oltre che di sfida agli avversari». E il fenomeno delle «stese» non ne è che un effetto.

Il terzo punto conferma come, a fronte di queste gang semi-improvvisate, le cosche più strutturate (a Napoli i soli Contini, ma soprattutto i sodalizi della provincia) «continuano a rafforzarsi puntando su grossi traffici internazionali e investimenti finanziari. In provincia, poi, l'agire sotto traccia consente loro di infiltrare, senza clamore, le amministrazioni comunali e l'imprenditoria locale, gestendo parte della grande distribuzione e assumendo una posizione dominante nel mercato della droga».
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