Campania, la Sanità da rifare
ecco i sette «buchi neri»

Campania, la Sanità da rifare ecco i sette «buchi neri»
di Maria Pirro
Domenica 22 Maggio 2016, 09:26 - Ultimo agg. 23 Maggio, 08:43
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Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne, la cura dovrebbe essere relativamente uniforme in tutte le regioni. Non in Campania, dove si notano clamorose differenze fra una struttura e l’altra: ce ne sono 27 che effettuano meno di cinque operazioni all’anno, 21 provvedono a eseguire tra 5 e 10 interventi e solo nove, delle restanti 45, ne fanno più di 150. In pratica, solo nove strutture su 93 risultano garantire gli standard nell’assistenza indicati dalle linee internazionali e previsti nel regolamento del ministero.

Un dato choc, non l’unico, riportato tra le pieghe del decreto che ridisegna la rete dell’assistenza e spiega, per altri aspetti, come e perché è decisivo ancora migliorarla. Al di là delle misure che riorganizzano gli ospedali e la rete in Campania, da realizzare in tre anni, il nuovo piano tocca i nervi della sanità che restano scoperti: sono almeno sette, motivo di preoccupazione e di monitoraggio, e le verifiche «entro dodici mesi» devono portare ad adottare «decreti commissariali ad hoc».

I principali nodi fanno riferimento alle cure oncologiche. Oltre al cancro al seno, si parla del tumore maligno del colon. «50-70 interventi chirurgici», da garantire all’anno, «sono considerati la soglia di attività per una riduzione della mortalità a 30 giorni». E invece, 25 strutture in Campania eseguono meno di cinque operazioni, 19 strutture ne effettuano tra sei e dieci, altre 15 tra undici e quindici e soltanto otto delle restanti 29 hanno «un volume di attività pari o superiore a 50». O almeno questo è il dato registrato nel 2014.

Tumore maligno del polmone, si legge nel documento regionale: «La mortalità a 30 giorni per l’intervento chirurgico è inversamente proporzionale al numero» di operazioni garantite nella struttura. Che cosa avviene in Campania? Solo tre strutture su sette, meno della metà, assicurano più di cinquanta interventi all’anno. Ciò significa rischi più alti.

Un altro punto nella programmazione da rivedere è dedicato alla frattura collo femore: l’intervento chirurgico è raccomandato «entro due giorni» e viene eseguito nei tempi nel 49,9 per cento delle strutture in Italia. Ma questo accade in Campania solo nel 20 per cento dei casi. 

Salvo un reparto, che supera in positivo la media nazionale, ne sono censiti 38 su 57 che raggiungono «il volume di attività fissato dal ministero», ossia garantiscono 75 ricoveri all’anno.

Questione antica, quella dei tagli cesarei. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, non dovrebbero essere più del 15 per cento dei parti, in totale, presi in ogni divisione di ginecologia e ostetricia. Il ministero ne prevede un 25 per cento nelle strutture che eseguono più di 1000 parti (in genere, attrezzate anche per le gravidanze a rischio) e il 15 per cento in quelle che ne effettuano meno di 1000. Ma solo sei ospedali e cliniche su 62 sono in linea con gli standard nazionali. Addirittura un bimbo su due viene alla luce con l’aiuto del bisturi nella regione che, peraltro, ha ancora troppi mini-punti nascita, ma destinati a sparire con l’applicazione del nuovo piano ospedaliero. 

All’esame c’è poi «la mortalità per infarto a 30 giorni»: in Italia il dato si attesta al 9,2 per cento, nella regione è inferiore alla media nazionale, però «in 10 strutture campane il dato è superiore a quello atteso, senza che vi sia alcuna relazione con i volumi di attività che risultano molto variabili tra loro». Non ultima questione, gli interventi di angioplastica ai malati di cuore necessari per correggere un difetto nel flusso sanguigno: lo stent coronarico deve essere garantito «entro 60/90 minuti nel 60 per cento dei casi di Ima-Stemi», la sigla più tecnica per indicare l’infarto miocardico acuto. E invece, la rilevazione mostra che la tempestività è possibile «poco oltre il 35 per cento» delle volte, mentre solo quattro strutture campane «superano il valore del 60 per cento e rispettivi volumi di attività», altre 7 strutture si «attestano tra 45 per cento e 60 per cento». E il numero più alto di prestazioni anche in questo caso si associa alla pratica: «gli undici migliori risultati si ottengono nei primi diciattesse presidi con maggior volume di attività», è precisato nel documento, che preannuncia le altre misure per integrare il piano ospedaliero. «Le evidenze - si legge - sopra riportate rendono non più rinviabile un sistema di monitoraggio che, in pari alle azioni di verifica, permetta un progressivo miglioramento degli esiti, nella garanzia della qualità delle prestazioni erogate». Tuttavia, «i percorsi di audit finora avviati non hanno evidenziato miglioramenti sostanziali per cui si programma una sostanziale rivisitazione del processo e della sua applicazione». 

Sullo sfondo, i dati sulla mortalità nella regione che ha un triste primato: risulta essere quella «con più bassa speranza di vita alla nascita».

In particolare, «la provincia di Napoli presenta anche un’attesa di vita a 65 anni inferiore al valore nazionale e a tutti i valori delle altre province campane». Inoltre, sono 150-180 all’anno le nuove neoplasie che colpiscono bambini e adolescenti campani, uno su quattro riceve diagnosi fuori regione e il 30 per cento dei piccoli emigra dalla Campania alla ricerca di cure. Ma, nel guardare al futuro, governatore e commissari alla sanità promettono la svolta. Anche per affrontare i sette (e gli altri) nodi irrisolti. «A regime», è questa la conclusione del piano regionale di programmazione della rete ospedaliera, «il processo di valutazione permetterà anche di riorganizzare i punti di erogazione dell’assistenza ospedaliera in funzione del raggiungimento degli standard attesi, dei volumi ed esiti, indicatori di una buona sanità».

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