Campi Flegrei «sotto pressione»
aumenta la concentrazione dei gas

Campi Flegrei «sotto pressione» aumenta la concentrazione dei gas
di Mariagiovanna Capone
Mercoledì 28 Dicembre 2016, 00:00 - Ultimo agg. 20 Marzo, 19:10
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Nel corso del mese di novembre sono stati registrati tre terremoti di bassa magnitudo (massimo 0.4), non si osservano deformazioni del suolo significative (un centimetro al Rione Terra) e i parametri geochimici rientrano nei trend. Il bollettino mensile dell’Osservatorio Vesuviano è tranquillizzante. Ciò nonostante, il monitoraggio dell’area dei Campi Flegrei permane a un livello di attenzione. O meglio uno stato di allerta di livello giallo, con riferimento ai quattro livelli di allerta previsti dal piano di emergenza predisposto dalla Protezione Civile, un gradino più su del Vesuvio che si trova al livello verde, quello di quiete.

Tuttavia negli ultimi tempi l’area flegrea è al centro di un dibattito acceso da parte della comunità scientifica, motivato da conoscenze tecnologiche più avanzate che stanno fornendo dati e informazioni sempre più accurate al punto da far sorgere nuovi interrogativi sull’attività del sistema vulcanico dei Campi Flegrei e su una possibile eruzione. D’altra parte, ciò che preme sapere alla popolazione che vive a ridosso della caldera è cosa c’è sotto ai loro piedi e se il monitoraggio permetterà di sapere in anticipo un’eventuale attività eruttiva. A quest’ultima domanda, l’Osservatorio Vesuviano, ente preposto alla sorveglianza dei nostri vulcani, risponde che «non è possibile prevedere quando ci sarà la prossima eruzione» ma tuttavia «tenendo sotto osservazione un vulcano è possibile rilevare con ampio anticipo l’insorgenza di fenomeni precursori, che generalmente precedono un’eruzione».

 
 

Prima di un’eruzione, infatti, si verificano precursori indotti dal movimento del magma in profondità come sciami sismici, eventi sismici a lungo periodo, tremore vulcanico, deformazioni del suolo, variazioni nei gas emessi dal suolo o da fumarole. Attraverso lo studio di questi fenomeni e l’analisi della loro evoluzione temporale è possibile capire in anticipo se si sta approssimando una eruzione. Per comprendere in maniera adeguata il significato dei fenomeni è necessario che questi siano opportunamente analizzati e interpretati alla luce delle conoscenze acquisite dalla comunità scientifica. E proprio su questo punto arrivano aggiornamenti estremamente importanti per far luce sui Campi Flegrei, forse il sistema vulcanico tra i più complessi al mondo e tra i più studiati.

Neanche venti giorni fa, il dirigente di ricerca dell’Ov-Ingv Giuseppe De Natale ha pubblicato i primi risultati dello studio stratigrafico nel pozzo del progetto “Campi Flegrei Deep Drilling Project” che ha permesso di ricostruire l’evoluzione dell’attività eruttiva nel settore orientale dei Campi Flegrei, avvenuta in ambienti talvolta subaerei e talvolta sottomarini, fino a circa 47 mila anni fa. De Natale spiega che «mentre sino ad oggi la quasi totalità della letteratura scientifica ipotizzava che la caldera dell’Ignimbrite Campana contenesse anche la parte centrale della città di Napoli, i nuovi dati indicano chiaramente che la collina di Posillipo rappresenta il limite orientale della caldera flegrea, sia per il Tufo Giallo Napoletano che per l’Ignimbrite Campana.

L’identificazione di Posillipo come limite orientale della caldera per tutte le eruzioni di collasso rappresenta un’indicazione importantissima per determinare correttamente la pericolosità vulcanica nel centro cittadino». Pochi giorni prima un altro studio coordinato da Augusto Neri, direttore della Struttura Vulcani dell’Ingv, permetteva di capire la frequenza dell’attività eruttiva della caldera dei Campi Flegrei, attraverso un’analisi quantitativa della sua storia. Al centro della ricerca, due modelli di probabilità per studiare statisticamente il passato di questo sistema vulcanico e poter quindi fornire delle stime probabilistiche sul suo possibile comportamento futuro.

A questi due lavori si è aggiunto da pochi giorni un terzo in cui si ammette che i vulcani che “dormono” devono essere studiati ancora di più. Una banalità? Niente affatto. Perché proprio per le caratteristiche del sistema vulcanico dei Campi flegrei e dai risultati degli ultimi lavori scientifici realizzati grazie all’impiego di strumentazioni scientifiche sempre più all’avanguardia, ora si è capita l’incidenza di comprendere i processi che avvengono all’interno dei vulcani quiescenti che presentano evidenze di risvegli, al fine di intensificare ulteriormente le attività di sorveglianza e di ricerca scientifica.

Un team di ricercatori italiani e francesi, coordinato dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha pubblicato i risultati della ricerca su Nature Communications evidenziando, per la prima volta, l’esistenza di una soglia di pressione durante il processo di ascesa del magma nella crosta. Una volta raggiunta questa soglia si ha un risveglio (tecnicamente “unrest”) vulcanico che potrebbe evolvere verso una condizione critica. «Obiettivo dello studio - spiega Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca di ricerca Ingv e coordinatore del lavoro - è comprendere i processi che avvengono all’interno dei vulcani quiescenti che, presentando evidenze di unrest vulcanico, potrebbero evolvere verso una eruzione, come nella caldera dei Campi Flegrei». La risalita dal profondo di magma è una delle cause degli unrest vulcanici. Risalendo verso la superficie, il magma perde pressione e rilascia parte delle specie volatili o gassose, disciolte nel fuso. Da qui l’idea di caratterizzare i meccanismi di rilascio delle specie volatili magmatiche principali, acqua e anidride carbonica, durante il processo di depressurizzazione.


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