«Ciro, ammazzato per errore
sognava una vita normale»

«Ciro, ammazzato per errore sognava una vita normale»
di Leandro Del Gaudio
Sabato 25 Giugno 2016, 10:24 - Ultimo agg. 16:12
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«Sognava un lavoro onesto in Germania, lontano dal nulla del lotto zero, dove se mandi un curriculum sei certo che offerte di lavoro non arrivano e dove non sai che fare quando metti il naso fuori casa. Dove vai se l'unico posto che ci rimane è un circoletto frequentato anche da amici e amiche? Dove vai se non c'è alcuna alternativa al circoletto abusivo, per chi vive qui, in via Cleopatra, nel lotto zero di Ponticelli?».

Eccolo Ciro Colonna, 19 anni, ucciso lo scorso sette giugno a Ponticelli, colpito a morte senza un perché, secondo il ricordo della sorella Mary, della madre Adelaide e del padre Enrico. Sono in via Santa Lucia, nello studio del penalista napoletano Marco Campora, per rivendicare un diritto su tutti: il diritto alla memoria, contro oblio e assuefazione, il diritto a prendere le distanze da clan e sistemi criminali.

Non è un caso isolato, quello di Ciro Colonna: il 19enne ucciso nello stesso agguato destinato a Raffaele Cepparulo (il leader dei barbudos della Sanità) è il quarto caso di vittima innocente in meno di un anno, tenendo conto il meccanico Luigi Galletta (Forcella), il 17enne Genny Cesarano (Sanità), il cameriere Giuseppe Maikol Russo (ancora Forcella). Parla Mary, 22 anni: «Lavoro per una compagnia telefonica, a settembre avrei quasi sicuramente lasciato Napoli, ora voglio rimanere qui. Lo devo a mio fratello, al rispetto della sua memoria e a questa terra abitata comunque da tante persone oneste. Chi era Ciro? Un ragazzo per bene, pulito, estraneo alla camorra. Mi aveva chiesto di regalargli un paio di scarpe per andare a una festa, se faceva il camorrista non avrebbe avuto questo problema».

Mamma Adelaide torna con la memoria a venti giorni fa, al momento del delitto: «Studiava alle scuole serali, doveva diplomarsi in ragioneria. Quel pomeriggio era uscito verso le quattro, mi aveva detto che sarebbe andato a vedere la partita a casa di amici. Era sempre assieme ad altri tre ragazzi, li chiamavo i quattro moschettieri, ragazzi che lavoravano e che sognavano una vita onesta. Poi quella telefonata - piange, si contorce dal dolore - siamo corsi in strada, abbiamo seguito Ciro a villa Betania, ma non c'è stato nulla da fare. Dicono che stava al posto sbagliato, ma ora mi chiedo: Ciro era sotto casa, qual era il posto giusto dove aspettare un amico o un'amica? Insomma, qual era l'alternativa al circoletto nel lotto zero?».

Tante manifestazioni di affetto, la casa dei Colonna diventa meta di pellegrinaggio per quanti hanno conosciuto Ciro e i suoi parenti. Parla papà Enrico: «Faccio il camionista, quel giorno ero a Genova per lavoro. Mi chiamano i miei superiori, mi dicono che devo tornare a Napoli, che è successo un incidente a mio figlio, poi vengo a sapere il resto. Gli davo la paghetta, una trentina di euro alla settimana, non aveva molte pretese, guardavamo la partita del Napoli assieme in tv e di tanto in tanto mi diceva che voleva andare a lavorare fuori. Anche io sognavo di lasciare Napoli, ora non possiamo più allontanarci da questo posto: lo devo a mio figlio e ai tanti giovani innocenti ammazzati per caso, come è capitato a Ciro. Ed è anche una risposta a chi ha liquidato in pochi minuti il dramma di una vita spezzata in questo modo: mi riferisco al funerale di mio figlio, durato appena 17 minuti, senza quasi mai fare cenno alla camorra, il prete ha nominato una sola volta mio figlio. Che colpa aveva quel ragazzo? C'erano altri posti da frequentare qui al lotto zero?».
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