Da Castellammare agli Emirati,
così Imperiali gestiva i suoi traffici

Da Castellammare agli Emirati, così Imperiali gestiva i suoi traffici
di Daniela De Crescenzo
Venerdì 30 Settembre 2016, 09:34 - Ultimo agg. 09:40
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Latitante sì, ma di super lusso. Fino a qualche mese fa Raffaele Imperiali, abitava con la famiglia in uno degli alberghi più lussuosi del mondo, l’hotel Burj Al Arab di Dubai, dove una stanza costa (prezzi di Booking) 1500 euro a notte. Ma lui preferiva (e magari continua a preferire, visto che è tuttora libero) le suite: un uomo abituato ad avere il meglio. Organizza feste e crociere e intanto procura droga ai clan che si sbranano per conquistare le piazze. Del resto il narcotrafficante ha sempre avuto una vita agiata. Nato da una famiglia di imprenditori di Castellammare, fino all’ottobre scorso non era mai stato coinvolto in procedimenti giudiziari, ed era conosciuto solo dai camorristi, dai commercianti di droga e dalle polizie di mezzo mondo. Adesso la sua sorte è affidata alle forze dell’ordine degli Emirati che dovrebbero arrestarlo e spedirlo in Italia.

Imperiale, quaranta anni, sposato e padre di due figli, ha sempre comprato e venduto. Ha cominciato con il vino e l’acqua minerale (tra i malavitosi era conosciuto come Lelluccio Ferrarelle) ed è arrivato alla cocaina accumulando un patrimonio che, a giudicare da quello che ha speso in questi anni, non si sognano nemmeno i più affermati imprenditori. Secondo gli investigatori le società immobiliari (valore: dieci milioni di euro) che gli sono state sequestrate sono una parte, probabilmente esigua, del suo patrimonio. La fortuna per il commerciante di vini cominciò a girare quando decise un investimento vincente e da Castellammare volò ad Amsterdam per aprire un coffee-shop, uno di quei bar olandesi dove è possibile consumare droghe leggere di diversa qualità. Fu probabilmente in quel periodo che entrò in contatto con i collettori di stupefacenti e soprattutto con gli Scissionisti di Secondigliano. Gli inquirenti ne segnalano la presenza nel 2004 al momento dell’arresto di un latitante di spicco della zona di Fuorigrotta, Mario Cerrone (coinvolto nella stessa indagine che ha reso noto il nome di Imperiale), e nel 2005 a Barcellona quando scattarono le manette per Raffaele Amato.

È nei primi anni Duemila che Imperiale diventa socio di Amato. Sono loro che aprono e chiudono i rubinetti della cocaina determinando la fortuna o la disgrazia dei clan campani. Quando Amato si rifugia in Spagna e rompe con i Di Lauro, scatena la guerra rompendo la società e bloccando i canali che fanno scorrere veleni nella vita della città. E ancora, quando diventano tesi i rapporti tra Amato e il cognato Cesare Pagano non arriva la cocaina al genero di quest’ultimo, Mariano Riccio. Quando decidono di fare fuori il giovanotto per rassicurarlo e preparare serenamente l’agguato gli fanno arrivare una partita di coca, poi le cose si aggiustano e le forniture si regolarizzano.
L’organizzazione continua a crescere e si stabiliscono basi operative in Spagna e in Olanda mentre i soldi girano vorticosamente in tutto il mondo. Quando Imperiale avvia l’affare dell’investimento immobiliare in Spagna si fa rappresentare da un mediorientale, Steve Faizal Ramautar. Quando deve curarsi in Messico per fargli avere un passaporto con il cognome della madre si muove l’ambasciatore italiano presso il Presidente della Repubblica di Guinea, Raffaele Maiorano.

Ovviamente non fa tutto da solo, l’ex commerciante di vini. Il suo socio è Raffaele Amato, e intorno a loro si muovono figure per così dire minori, ma con funzioni importanti. Primo tra tutti Vincenzo Aprea. Secondo la squadra Narcotici della Mobile napoletana (che ha condotto l’inchiesta con la Guardia di Finanza), Aprea che ha precedenti penali in Italia per spaccio e rapina, è uomo dell’organizzazione Amato– Imperiale «soggetto deputato a procacciare, per conto del clan, ingenti quantitativi di cocaina all’estero e curane il trasporto in Italia. Opera prevalentemente in Spagna a Madrid dove ha fissato da molti anni la sua dimora». Aprea gestisce un canale solido con i Paesi produttori di cocaina: una sua nipote ha sposato il nipote di un trafficante, tal Peñaranda Diaz Miguel Brando con il quale viene fotografato a Lima nel 2012. Ma la sua presenza viene documentata anche in Ecuador e in Colombia. Seguendolo viene scovato un carico che viene poi bloccato dagli inquirenti in Perù.

La droga corre, vola, e dal Centramerica arriva in Europa. La polizia italiana la insegue, la tallona. Gli uomini della narcotici seguono passo dopo passo gli uomini della coca. Ma non sempre possono intervenire: l’Italia finora ha dimenticato di ratificare la convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, stilata a Bruxelles il 29 maggio 2000. E poi la caccia costa. E i soldi, per il momento, li hanno tutti loro: i narcotrafficanti.
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