È stato ascoltato per un paio di ore, assistito da una psicologa, come richiesto dal codice ma anche e soprattutto dalla delicatezza dell'esperienza che gli è toccato vivere. Non ha ancora compiuto diciotto anni, è uno studente, e potrebbe svolgere un ruolo importante nel corso dell'inchiesta sulla morte dell'ingegnere Vittorio Materazzo.
Il baby teste
Ieri mattina, il teste è stato ascoltato dai pm che stanno indagando sull'omicidio di viale Maria Cristina di Savoia, sulla scorta di una serie di incroci di testimonianze già messe agli atti. In sintesi, il baby testimone è stato tirato in ballo da alcune persone sentite nella primissima fase delle indagini, subito dopo il delitto del 28 novembre scorso. È stato indicato come una persona che potrebbe aver visto qualcosa, soprattutto in relazione alle mosse e al percorso dell'assassino dell'ingegnere 51enne. Ed è così che la testimonianza del ragazzino ora entra nelle pagine dell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso e dai pm Francesca De Renzis e Luisanna Figliolia. Una vicenda che ieri ha fatto registrare anche un altro snodo cruciale.
I reperti
Ieri è stato il giorno delle prove del Dna, della «esaltazione» delle tracce biologiche trovate su alcuni reperti e della comparazione con il corredo genetico dell'unico indagato, Luca Materazzo, fratello minore della vittima. Un test che rivelerà i propri risultati solo tra qualche giorno, anche se conviene soffermarsi sui reperti che sono stati acquisiti dalla polizia sin dalle primissime ore successive al delitto.
I «doppioni»
Oggetti e indumenti che potrebbero far emergere una personalità «bipolare» o un soggetto particolarmente fissato per il doppio di ogni cosa usata. Ma proviamo ad entrare nelle pieghe della psicologia dell'assassino, sulla scorta dei reperti ieri posti sul tavolo della scientifica: l'uomo che ha ammazzato l'ingegner Materazzo si è disfatto di due buste della spazzatura, gettandole in vico Santa Maria della Neve, in un punto occupato da una specie di discarica. Sul posto sono stati trovati due coltelli da sub, uno sporco di sangue e l'altro pulito. Come se avesse voluto assicurarsi una seconda possibilità, qualora nella colluttazione avesse perso il coltello. Difficile immaginare anche se non si può escludere in partenza - che l'assassino fosse invece spalleggiato da un complice armato dello stesso pugnale. Ma il gioco del doppio vale anche per altri indumenti finiti all'attenzione della Mobile.
Due giubbini
All'interno dei pacchi della spazzatura, c'erano due giubbini, uno da motociclista e un altro più sottile, segno che l'assassino ha deciso di usare entrambi gli indumenti. Per una serie di ragioni fin troppo chiare: da un lato nel tentativo di assumere una sagoma più voluminosa, in modo da sembrare più robusto o corposo, agli occhi di eventuali testimoni o di fronte a eventuali riprese occasionali; dall'altro per evitare di sporcarsi di sangue, magari di fronte alla possibilità di ingaggiare un corpo a corpo con la vittima. Ma non è tutto.
Due paia di calze
Tra i reperti finiti sotto osservazione, nel laboratorio del primo dirigente Fabiola Mancone, ci sono anche altri oggetti usati dall'uomo che ha inflitto oltre trenta coltellate al professionista cinquantunenne: c'erano due paia di calzini; uno slip e il casco che ha protetto il viso dell'assassino nel corso della sua fuga dalla scena del delitto.