«Devi farti i fatti tuoi», minacce
al giudice del processo Fortuna

«Devi farti i fatti tuoi», minacce al giudice del processo Fortuna
di Marco Di Caterino
Mercoledì 22 Febbraio 2017, 09:00 - Ultimo agg. 13:00
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Minacce al giudice Alfonso Barbarano, il magistrato che presiede la quinta sezione di Corte di Assise di Napoli, davanti alla quale tra i tanti procedimenti in corso è in pieno svolgimento il processo sulla morte e gli abusi subiti dalla piccola Fortuna Loffredo. La vicenda risale allo scorso dicembre, ma solo ieri è stata resa nota. Minacce del tipo «Fatti i fatti tuoi», seguite da improperi scritti da un ancora anonimo «corvo» su un biglietto indirizzato a un familiare del presidente Barbarano, e recapitato al giudice il giorno del suo compleanno, il 21 dicembre. Barbarano denunciò immediatamente l’accaduto ai carabinieri, che hanno trasmesso il fascicolo alla Procura di Roma, titolare delle indagini che vedono come persona offesa un magistrato del distretto di Napoli. Raggiunto per telefono il magistrato con il solito garbo e la proverbiale fermezza ha risposto con un secco «no comment» alle domande. Ma ha lasciato trasparire che questo episodio, ormai distante nel tempo, certamente non ha influito e nemmeno influirà sulla conduzione delle udienze nei processi iscritti a ruolo presso il collegio giudicante della quinta sezione di Corte di Assise.
 

 

La notizia delle minacce al magistrato ha fatto rapidamente il giro tra gli avvocati impegnati nel processo sulla tragica fine di Fortuna Loffredo, che vede imputati Raimondo Caputo, detto “Titò” (accusato di omicidio di primo grado e violenza sessuale su Fortuna e le due figlie della sua ex convivente, Marianna Fabozzi) e quest’ultima chiamata rispondere di non aver impedito gli abusi sulle sue bambine. Alcune voci avevano riportato anche la possibilità per i legali di una eventuale richiesta di legittima suspicione (assegnare il processo Fortuna ad un altro distretto giudiziario) proprio per le minacce ricevute dal presidente Barbarano. Ma gli avvocati impegnati nel processo hanno escluso l’eventualità. «Esprimo la sincera e piena solidarietà al presidente Barbarano per questo vile atto», commenta Angelo Pisani, legale di parte civile, protagonista nelle udienze di momenti di forte contrapposizione con il presidente. Dello stesso tono di solidarietà e netta condanna per le minacce anche le parole di Paolino Bonavita del foro di Nola, difensore di “Titò”. 
 

Ora tocca agli inquirenti capire il senso e lo scopo di quel biglietto del «corvo», presumibilmente - ma per ora non ci sono riscontri - rintracciabile in ambienti vicino ai pedofili del parco Verde. È innegabile che questo processo sia molto complicato, difficile e per alcuni tratti “annebbiato” da tanti, troppi testimoni che ritrattano sfacciatamente, e che addirittura forniscono alibi per il principale imputato. E se questo non fosse già abbastanza, c’è la variabile impazzita di Pietro Loffredo, il papà della vittima, che da sempre ha respinto la ricostruzione dell’omicidio della figlia e l’individuazione dei colpevoli presentate in aula dal procuratore Domenico Airoma e dal pm Claudia Maone della Procura di Napoli Nord, diretta dal procuratore capo Francesco Greco.
Per il papà di Chicca, l’assassino non è Raimondo Caputo, ma altre persone da individuare nella famiglia Luongo. Un’ipotesi formalizzata da Pietro Loffredo con tanto di denuncia presentata al pm Claudia Maone e che al momento non sembra aver trovato alcun riscontro e nemmeno prove.

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