Addio a Don Alfano, il prete che parlava al cuore degli scugnizzi

Addio a Don Alfano, il prete che parlava al cuore degli scugnizzi
di Nando Santonastaso
Sabato 28 Gennaio 2017, 09:39
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Sapeva parlare agli adolescenti come pochi altri, don Alfonso Alfano, «Zì Fonso» come tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo lo chiamavano familiarmente. Perché come ogni zio riusciva meglio di tanti genitori a penetrare nel cuore dei ragazzi, specie i più diseredati, gli scugnizzi del rione Doganella o i «pischerli» delle borgate di Roma. Ad amarli con l'intensità emotiva ma anche con il rigore morale che gli avevano insegnato la vita e l'apostolato di don Bosco, il punto di riferimento di una vita da sacerdote che non poteva che snodarsi con i Salesiani. E ovviamente, e negli oratori, il luogo di aggregazione per eccellenza di tante generazioni che proprio là, nei cortili, hanno imparato a crescere, ad accettare le diversità, ad essere tolleranti e solidali.

Don Alfano se n'è andato ieri dopo aver ceduto le armi alla malattia più grave, lui che in 81 anni ne aveva combattute e sconfitte altre. Lo sapeva da giorni. E a chi era andato a trovarlo quand'era ricoverato ripeteva il Signore faccia di me quello che vuole, affidando ai suoi occhi mai rassegnati o tristi il messaggio più bello: non lasciate mai soli i miei ragazzi.

Sono quelli che da anni, attraverso il Centro Le Ali, hanno avuto grazie a lui la possibilità di imparare a suonare uno strumento o di mostrare la loro bravura in una banda musicale; a provare a inventarsi un futuro come camerieri o come aspiranti cuochi; a ricostruirsi un'identità dopo dolori familiari ed errori personali, anche drammatici. La Provvidenza, come anche Zì Fonso la chiamava, gli aveva permesso di entrare in contatto con enti come l'Inail e l'Inps, con istituzioni come la Regione e il Comune che ne avevano compreso subito la profonda, irripetibile umanità e deciso di condividerne le idee, i percorsi formativi, le finalità educative.

Erano il Dna di don Alfano, napoletano di Sant'Antonio Abate, nato nel 1936 in una famiglia di contadini con forti radici cristiane. Dove la mamma, come ricorda lui stesso in uno dei suoi otto libri, Quando il pane profumava di fatica, esortava lui e i fratelli a non sprecare nemmeno le briciole del pane perché era un dono di Dio. Carismatico, coraggioso fin dai primi anni della sua missione sacerdotale, un vulcano di idee. Da Portici (Resìna) a Caserta sfonda con l'entusiasmo dell'innovatore il muro che aveva diviso prima di lui la scuola salesiana dall'Oratorio, aprendo le città all'incontro con un'istituzione decisiva per la formazione dei più giovani e resistendo a chi lo sconsigliava di insistere. Sport e catechismo, gruppi di preghiera e impegno sociale, ascolto e allegria: Zì Fonzo ha profuso a piene mani da quella riserva di energia umana e spirituale che sembrava infinita. Ispettore della Congregazione per l'Italia meridionale, ha lasciato una traccia indelebile anche a Roma dove ha lavorato per lunghi anni dando vita nell'istituto a ridosso della stazione Termini all'incontro quotidiano con i ragazzi del disagio, i tossicodipendenti, gli emarginati. Da quest'esperienza sono nati libri diventati oggi indispensabili agli operatori del settore.

Era tornato a Napoli dieci anni fa e subito aveva dato vita al Centro Le Ali. Sempre al fianco degli adolescenti, spesso in solitudine, ma senza mai un attimo di cedimento. Sapeva di non poterselo permettere, Zì Fonzo, sapeva di essere l'ultima speranza per tanti ragazzi: anche per questo il suo vuoto è incolmabile.
Stamane l'ultimo saluto, ale 11, nella chiesa dell'istituto don Guanella, tra i suoi ex allievi, i giovani di oggi e quanti hanno almeno un buon motivo per iniziare a rimpiangerlo.
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