Fanghi, l'affare depuratori: impianti mai attrezzati e spesa triplicata

Fanghi, l'affare depuratori: impianti mai attrezzati e spesa triplicata
di Danierla De Crescenzo
Martedì 20 Febbraio 2018, 08:42 - Ultimo agg. 09:40
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Impianti incompleti, gare deserte, prezzi alle stelle: quello della depurazione e dello smaltimento dei fanghi continua a essere un affare molto lucroso e molto sporco, come Nicola Dell’Acqua, allora commissario alla depurazione degli impianti campani, ha spiegato nel 2015 alla commissione parlamentare Ecomafie presieduta da Alessandro Bratti. Il meccanismo capace di generare soldi è sempre lo stesso: l’emergenza. E l’emergenza si crea non costruendo gli impianti o lasciandoli incompleti. Esattamente quello che è successo in Campania dove tutti i depuratori sono dimezzati: non possono stabilizzare i fanghi e quindi, per smaltirli, bisogna rivolgersi ai pochi proprietari di cave che hanno l’autorizzazione necessaria e che agiscono, quindi, in un regime di oligopolio.

Sembra complicato, ma non lo è. Cominciamo dal principio. I depuratori lavorano i prodotti delle fogne: ne ricavano acqua da utilizzare, ad esempio, per l’irrigazione, e puzzolentissimi fanghi. A smaltire questo materiali a cifre competitive è stata per anni la camorra. Nel 2008 lo ha spiegato ai magistrati con chiarezza il pentito Gaetano Vassallo: «Il materiale del depuratore di Villa Literno - ha detto - li abbiamo sversati nei terreni di un certo Micillo a Giugliano e in parte nella mia discarica degli Schiavi, e nello stesso posto arrivavano i residui di Cuma tramite il trasportatore Trincone». In quegli anni, devastazione ambientale a parte, era tutto semplice Per decenni i clan si sono occupati di farli sparire mischiandoli ai rifiuti spargendoli nei campi e fornendo alle imprese false certificazioni. Prezzo richiesto: 30 euro a tonnellata. «Un guadagno netto perché noi non facevamo alcuna lavorazione», ha spiegato Vassallo.
 
Poi i tempi cambiano, la coscienza ambientalista cresce e la Regione Campania, governatore Bassolino, con una gara affida la gestione di cinque depuratori comprensoriali (Acerra, Marcianise, Napoli Nord, Foce Regi Lagni-Succivo e Cuma) alla Hidrogest. Un disastro: tra l’ente e l’azienda nasce subito un contenzioso che si trascina ancora. La Regione accusa l’impresa di non provvedere alla rimessa a punto degli impianti, questa contesta a Palazzo Santa Lucia di non aver mai pagato regolarmente. La Regione, a sua volta, accusa i Comuni di non aver versato le quote dovute. È il caos.

Rescisso il contratto ad aprile 2010, tre impianti vengono sequestrati dalla magistratura, viene nominato un custode giudiziario, e comincia una gestione provvisoria affidata sempre alla Hidrogest fino a che la giunta Caldoro nel 2012 decide di nominare un commissario e il governo sceglie il veneto Nicola Dell’Acqua. Che cosa succede poi lo ha raccontato lui stesso alla commissione Bratti. «Secondo le conoscenze che ho io, le gestioni precedenti sono avvenute sostanzialmente senza appalti. Si tratta di gestioni dirette, basate sulla rendicontazione delle fatture: le ditte fatturano e la Regione o chi per essa salda semplicemente le fatture, aggiungendo il 10 per cento di utile d’impresa e una percentuale di spese generali».

Una delle maggiori uscite viene proprio dallo smaltimento dei fanghi: nel resto d’Italia questi vengono stabilizzati dopo di che possono essere utilizzati in agricoltura, diventare compost, essere bruciati o finire in discarica. Nel Nord Ovest, secondo una ricerca dell’Autority per l’energia, si recupera l’84 per cento dei fanghi, al Sud il dato è risultato irreperibile. I costi di smaltimento dei fanghi stabilizzati non arrivano ai cento euro a tonnellata, ma partono anche da sessanta euro. Da noi sono molto più alti.

Ha spiegato Dell’Acqua: «Sapete tutti che una delle ennesime criticità della regione Campania è rappresentata dal fatto che questa regione non ha discariche per rifiuti speciali, dunque, per poter smaltire questi fanghi, bisogna andare in altre regioni. Nello specifico, hanno vinto l’appalto sempre gli stessi. Ho fatto di tutto per cercare di fermare questa cosa, ma vincono sempre gli stessi. Comunque, si tratta di discariche in Puglia che hanno delle deroghe particolari al parametro COD (chemical oxygen demand) e questo permette di smaltire anche la nostra qualità di fanghi».

E poi scende nel dettaglio: «Quando siamo arrivati, il costo di smaltimento dei fanghi era sui 165 euro a tonnellata. Con il nostro primo appalto, l’abbiamo portato a 120 euro a tonnellata». Ma per raggiungere il risultato è stato necessario rivolgersi per due volte alla magistratura: le prime due gare sono andate, infatti, deserte. Quindi le segnalazioni alla Procura, alla Dda e al custode giudiziario.

Poi dalla Regione non arrivano più soldi, Dell’Acqua si dimette e la palla passa alla Sma che gestisce anche il depuratore di Napoli est. Amministratore unico prima e consigliere delegato poi, Lorenzo Di Domenico, che già aveva amministrato il Cub (consorzio unico di bacino) finendo sotto inchiesta insieme ai precedenti responsabili per i contributi non pagati ai lavoratori (attualmente il consorzio deve all’erario quasi duecento milioni) e le promozioni ingiustificate. Il procedimento, dopo il rinvio a giudizio, è ancora aperto.

Di Domenico si imbatte subito nel problema fanghi: se ne producono più di duecento tonnellate al giorno e non si sa dove portarli. L’amministratore organizza una prima gara che va deserta nel 2016, poi ne mette in piedi un’altra nel 2017. Ancora deserta. Si va avanti con i fornitori già contrattualizzati con il sistema delle proroghe e degli affidamenti diretti: si spendono intorno ai 130 euro a tonnellata e i materiali puzzolenti vengono inviati a Brescia dalla Gesid, e poi in Puglia da Italcave ed Ecolevante. Ma a mano a mano si ritirano tutti gli imprenditori. Restano attivi solo due contratti, uno con Lineambiente che fa riferimento alla lombarda A2A ma ha una discarica in Puglia, e l’altro con la Italcave di Taranto. Poi dà forfait pure Lineambiente perché ha lo sversatoio saturo. Resta aperto solo il sito di Italcave e il contratto viene stipulato con il trasportatore Trincone che chiede un aumento. Non ci sono alternative, i fanghi cominciano ad accumularsi nei bilici. La Regione autorizza l’incremento del prezzo e da quel momento smaltire costa 145 euro a tonnellata. Come dire: bisogna che tutto cambi perché nulla cambi.
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