Significa sciogliere, in definitiva, le incrostazioni del passato. E adottare criteri di managerialità, efficienza e merito per risalire la china ed evitare di portare i libri in tribunale. L’estenuante ping pong di questi giorni, le fumate nere, i continui veti dei sindacati e la mancata sottoscrizione del protocollo d’intesa per mettere in sicurezza l’azienda, sono tutti segnali che vanno nella direzione esattamente opposta rispetto a quella auspicata. L’arroccamento in difesa degli inidonei, il cui numero è cresciuto in modo patologico negli ultimi anni rispetto agli standard di un’azienda moderna, ed evidentemente considerati inamovibili, la dice lunga sulla reale volontà dei sindacati di voltare pagina.
È probabile che i rappresentanti dei lavoratori non abbiano compreso fino in fondo la gravità della situazione; sono evidentemente convinti che prima o poi sbuchi dal cilindro Pantalone a tirare tutti fuori dai guai. Ma stavolta Pantalone non c’è, c’è invece la prospettiva sempre più concreta del fallimento. Portare i libri in tribunale significherebbe fermare tutto, bloccare i bus e dire definitivamente addio a quella parvenza di normalità alla quale abbiamo già rinunciato da tempo; significherebbe soprattutto avviare, con il governo, un percorso di privatizzazione. Difficile non cogliere il paradosso: quegli stessi sindacati che si dicono inorriditi dall’ingresso dei privati stanno, di fatto, spingendo la scalcagnata azienda di trasporto proprio verso la privatizzazione.
Un capolavoro di tattica e di lungimiranza. La campagna d’autunno per salvare l’Anm rischia di diventare una Waterloo politica per De Magistris, il quale sa bene che sulla sopravvivenza dell’azienda di trasporto si gioca tutto: il suo presente e il suo futuro politico. Va detto che il momento più difficile del sindaco coincide con un certo appannamento della sua immagine di incantatore e di pifferaio magico. Per dirla tutta, Dema non è mai stato così debole politicamente (la maggioranza sbrindellatissima, i numeri risicati in Consiglio, i fedelissimi del suo movimento frantumati in mille cespugli). Il sindaco ne appare consapevole, al punto che - schiacciato dall’evidenza del disastro, non più imputabile alle precedenti amministrazioni - ha smesso di agitare la bandana e ricominciato a dialogare con gli altri soggetti istituzionali. Non sappiamo se questo dialogo porterà a risultati concreti o prolungherà semplicemente l’agonia dell’Anm.
Certo fa bene De Magistris ad alzare i toni nei confronti di coloro che continuano a respingere l’accordo («Non possiamo trattare all’infinito, è una partita di sola andata»). I veti delle ultime ore - mentre la nave affonda - non aiutano affatto e rischiano di accelerare la bancarotta. D’altra parte, la situazione è già ampiamente compromessa. L’intera città, oggi, paga il prezzo della pervicacia con la quale si sono lasciati incancrenire i problemi, trasferendoli da un manager all’altro senza puntare sulla qualità del servizio e su una gestione improntata a criteri di merito ed efficienza. Ma questo vale per l’intera rete dei servizi pubblici, che nella loro drammatica inadeguatezza hanno spaccato in due la città: da una parte i benestanti, quelli che possono permettersi i taxi, le auto private, l’assistenza agli anziani e ai disabili; dall’altra coloro che scontano sulla loro pelle la tragedia del welfare e il naufragio dei servizi pubblici.
È il paradosso di una stagione politica e amministrativa che sui beni comuni e sul solidarismo sociale ha costruito e continua a costruire la propria narrazione, autocompiacendosene. Nelle condizioni date, e tornando al settore dei trasporti, la scelta della privatizzazione appare forse l’unica praticabile per rimediare a una situazione così incancrenita e pregiudicata. Lo sa bene De Magistris, che non può dirlo per non voltare le spalle al fronte politico-ideologico che lo sostiene (e che lo aspetta al varco). E lo sa bene anche l’assessore Panini, che ieri ha tuonato contro l’ingresso dei privati («Noi siamo il Comune più pubblico d’Italia, non faremo mai la privatizzazione e chi lo pensa è fuori di testa»). Tutte bellissime dichiarazioni d’intenti, buone magari per rabbonire i sindacati, ma che hanno uno scarso rapporto con la realtà.
Perché la realtà dell’Anm è quella di un carrozzone pubblico che in perfetta sintonia con tante altre aziende pubbliche decotte del Mezzogiorno è stata affidata a un modello gestionale che negli anni ha tollerato sacche di improduttività e di parassitismo, nonché rendite di posizione che il sindacato continua a difendere.
Se il soggetto pubblico, date le condizioni, non è più in grado di garantire l’efficienza del servizio - né di pretendere che i cittadini facciano la loro parte pagando regolarmente il biglietto sui mezzi pubblici - è meglio che lasci la gestione ai privati, limitandosi a svolgere funzioni di vigilanza e controllo. Quel che è certo è che l’agonia dell’Anm, e dei cittadini in attesa alle fermate di un autobus che non passa mai, non può durare all’infinito.