I trasporti
al capolinea

di Vittorio Del Tufo
Mercoledì 11 Ottobre 2017, 08:09
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L’Anm si può ancora salvare? Sì, a patto che si adotti il linguaggio della verità. Di fronte al disastro del trasporto pubblico a Napoli, al collasso finanziario dell’azienda e allo sprofondo rosso dei conti del Comune, adottare il linguaggio della verità significa avere il coraggio di prendere decisioni forti, impopolari, adeguate alla gravità del momento. Significa affondare il bisturi nelle sacche di improduttività e di parassitismo che hanno trasformato l’azienda dei trasporti in un baraccone assistenziale, costringere i lavativi a lavorare, riconvertire gli inidonei (tanti, troppi) o trasferirli in altre società partecipate del Comune, aumentare il numero degli autisti e dei controllori riducendo quello degli impiegati utilizzati (anzi inutilizzati) in ufficio.

Significa sciogliere, in definitiva, le incrostazioni del passato. E adottare criteri di managerialità, efficienza e merito per risalire la china ed evitare di portare i libri in tribunale. L’estenuante ping pong di questi giorni, le fumate nere, i continui veti dei sindacati e la mancata sottoscrizione del protocollo d’intesa per mettere in sicurezza l’azienda, sono tutti segnali che vanno nella direzione esattamente opposta rispetto a quella auspicata. L’arroccamento in difesa degli inidonei, il cui numero è cresciuto in modo patologico negli ultimi anni rispetto agli standard di un’azienda moderna, ed evidentemente considerati inamovibili, la dice lunga sulla reale volontà dei sindacati di voltare pagina.

È probabile che i rappresentanti dei lavoratori non abbiano compreso fino in fondo la gravità della situazione; sono evidentemente convinti che prima o poi sbuchi dal cilindro Pantalone a tirare tutti fuori dai guai. Ma stavolta Pantalone non c’è, c’è invece la prospettiva sempre più concreta del fallimento. Portare i libri in tribunale significherebbe fermare tutto, bloccare i bus e dire definitivamente addio a quella parvenza di normalità alla quale abbiamo già rinunciato da tempo; significherebbe soprattutto avviare, con il governo, un percorso di privatizzazione. Difficile non cogliere il paradosso: quegli stessi sindacati che si dicono inorriditi dall’ingresso dei privati stanno, di fatto, spingendo la scalcagnata azienda di trasporto proprio verso la privatizzazione.

Un capolavoro di tattica e di lungimiranza. La campagna d’autunno per salvare l’Anm rischia di diventare una Waterloo politica per De Magistris, il quale sa bene che sulla sopravvivenza dell’azienda di trasporto si gioca tutto: il suo presente e il suo futuro politico. Va detto che il momento più difficile del sindaco coincide con un certo appannamento della sua immagine di incantatore e di pifferaio magico. Per dirla tutta, Dema non è mai stato così debole politicamente (la maggioranza sbrindellatissima, i numeri risicati in Consiglio, i fedelissimi del suo movimento frantumati in mille cespugli). Il sindaco ne appare consapevole, al punto che - schiacciato dall’evidenza del disastro, non più imputabile alle precedenti amministrazioni - ha smesso di agitare la bandana e ricominciato a dialogare con gli altri soggetti istituzionali. Non sappiamo se questo dialogo porterà a risultati concreti o prolungherà semplicemente l’agonia dell’Anm.


Certo fa bene De Magistris ad alzare i toni nei confronti di coloro che continuano a respingere l’accordo («Non possiamo trattare all’infinito, è una partita di sola andata»). I veti delle ultime ore - mentre la nave affonda - non aiutano affatto e rischiano di accelerare la bancarotta. D’altra parte, la situazione è già ampiamente compromessa. L’intera città, oggi, paga il prezzo della pervicacia con la quale si sono lasciati incancrenire i problemi, trasferendoli da un manager all’altro senza puntare sulla qualità del servizio e su una gestione improntata a criteri di merito ed efficienza. Ma questo vale per l’intera rete dei servizi pubblici, che nella loro drammatica inadeguatezza hanno spaccato in due la città: da una parte i benestanti, quelli che possono permettersi i taxi, le auto private, l’assistenza agli anziani e ai disabili; dall’altra coloro che scontano sulla loro pelle la tragedia del welfare e il naufragio dei servizi pubblici.

È il paradosso di una stagione politica e amministrativa che sui beni comuni e sul solidarismo sociale ha costruito e continua a costruire la propria narrazione, autocompiacendosene. Nelle condizioni date, e tornando al settore dei trasporti, la scelta della privatizzazione appare forse l’unica praticabile per rimediare a una situazione così incancrenita e pregiudicata. Lo sa bene De Magistris, che non può dirlo per non voltare le spalle al fronte politico-ideologico che lo sostiene (e che lo aspetta al varco). E lo sa bene anche l’assessore Panini, che ieri ha tuonato contro l’ingresso dei privati («Noi siamo il Comune più pubblico d’Italia, non faremo mai la privatizzazione e chi lo pensa è fuori di testa»). Tutte bellissime dichiarazioni d’intenti, buone magari per rabbonire i sindacati, ma che hanno uno scarso rapporto con la realtà.

Perché la realtà dell’Anm è quella di un carrozzone pubblico che in perfetta sintonia con tante altre aziende pubbliche decotte del Mezzogiorno è stata affidata a un modello gestionale che negli anni ha tollerato sacche di improduttività e di parassitismo, nonché rendite di posizione che il sindacato continua a difendere.
Se il soggetto pubblico, date le condizioni, non è più in grado di garantire l’efficienza del servizio - né di pretendere che i cittadini facciano la loro parte pagando regolarmente il biglietto sui mezzi pubblici - è meglio che lasci la gestione ai privati, limitandosi a svolgere funzioni di vigilanza e controllo. Quel che è certo è che l’agonia dell’Anm, e dei cittadini in attesa alle fermate di un autobus che non passa mai, non può durare all’infinito.
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