Il caso Capua, quanto tempo resta
al nostro Paese per cambiare rotta?

di Alessandro Barbano
Venerdì 30 Settembre 2016, 08:15 - Ultimo agg. 20:04
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La storia di Ilaria Capua va raccontata bene. Non solo per spiegare come lei sia arrivata alla decisione di lasciare la Camera dei deputati e l’Italia, ma perché in quella decisione è scritto purtroppo il destino politico e civile di questa disastrata Repubblica. Ilaria Capua è una virologa italiana di fama internazionale. Di lei e dei suoi studi si sono occupati non solo le riviste scientifiche, ma anche giornali come il «New York Times», che nel 2006 le ha dedicato un editoriale di questo segno: «Una scienziata italiana, da sola, ha deciso di sfidare l’Organizzazione mondiale della Sanità rifiutandosi di mandare i dati della sua ricerca all’archivio riservato dell’Oms. Ha invece diffuso pubblicamente le informazioni sulla sequenza genetica del virus dell’aviaria e spinto i suoi colleghi a fare lo stesso. Ilaria Capua è sicuramente nel giusto».

Questa donna, questa scienziata accetta nel 2013 di candidarsi al Parlamento italiano nella lista dell’allora presidente del Consiglio Mario Monti, Scelta Civica. Viene eletta e comincia la sua attività politica, come vice-presidente della Commissione cultura della Camera. Ma ad aprile del 2014 il settimanale «L’Espresso» pubblica in prima pagina l’inchiesta del giornalista Lirio Abbate, corredata dal titolo: «Trafficanti di virus». Il sommario è eloquente: «Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi. Ceppi di aviaria contrabbandati per posta rischiando di diffonderli. L’inchiesta dei Nas e dei magistrati di Roma sul grande affare delle epidemie». Dell’inchiesta Ilaria Capua è il nome eccellente: è tra i 50 scienziati più importanti al mondo secondo la rivista «Scientific American», è deputata, ed è indagata per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, abuso d’ufficio e traffico illecito di virus. Reati gravissimi. Secondo carabinieri e magistrati inquirenti, la Capua è coinvolta, insieme al marito e ad altri, nel contrabbando dei ceppi virali dell’aviaria. L’Istituto padovano dove lavora appare agli investigatori come lo snodo di un giro vorticoso di affari oscuri e arricchimenti illeciti. Le carte, rese pubbliche dal settimanale, sono zeppe dei virgolettati delle intercettazioni, che, date in pasto al lettore, contribuiscono a rafforzare l’effetto-verità dell’inchiesta.

Sotto la cui scure Ilaria Capua rimane per due lunghissimi anni, senza che nessun magistrato della procura si degni di ascoltarla. Finché, nel luglio scorso, d’improvviso il castello di accuse si sbriciola e cade rivelando la sua inconsistenza. Senza neanche arrivare al processo. Il giudice dell’udienza preliminare proscioglie la scienziata, «perché il fatto non sussiste». Intanto, lei ha deciso di andarsene dall’Italia. È stata sotto una montagna di accuse per troppo tempo. Tempo in cui – come ha raccontato ieri in una lettera pubblicata, non in prima pagina, sul Corriere della Sera – «non avevo più il coraggio di uscire, di andare dal fruttivendolo, di girare per il paese padovano dove vivevo». Tempo in cui ha ricevuto solidarietà a bassa voce, nella ristretta comunità scientifica, e insulti a squarciagola, in pubblico, dove è stata trattata come un’appestata. Tempo in cui ha dovuto ascoltare l’onorevole Silvia Chimienti, dei Cinquestelle, intimarle sulla sua pagina Facebook: «Traffico illecito di virus. Nel dubbio dimettiti!». 

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