Renzi e De Magistris
dialogo inevitabile

di Vittorio Del Tufo
Sabato 8 Ottobre 2016, 23:45 - Ultimo agg. 9 Ottobre, 15:45
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Chiunque abbia a cuore le sorti della terza città d’Italia non può che rallegrarsi per la decisione del governo di firmare a Napoli, giovedì prossimo, l’atteso patto per Napoli. La speranza, naturalmente, è che di vera svolta si tratti: la firma del patto, con un investimento di circa 300 milioni per lo sviluppo, le infrastrutture e l’edilizia, segna la conclusione di una vicenda lunghissima e travagliata. Punteggiata da estenuanti stop and go, interminabili schermaglie istituzionali e numerosi colpi a vuoto.

Segna soprattutto - incrociamo le dita - la ripresa ufficiale di relazioni istituzionali finalmente corrette tra governo e Comune, dopo una lunga stagione di diffidenza e guerriglia alla quale Napoli ha già pagato un tributo altissimo. Riannodare il filo del dialogo, interrotto da tempo, era un imperativo categorico per evitare che si allargasse ulteriormente il solco tra la città e il resto del Paese. La svolta non giunge a caso ma è l’esito finale di un processo finalmente virtuoso. Ne è stata premessa la visita che il sindaco De Magistris ha compiuto a Roma la settimana scorsa, quando ha incontrato non solo il sottosegretario De Vincenti ma anche - dopo tanti fendenti - il commissario per Bagnoli e vicesegretario generale di Palazzo Chigi Salvo Nastasi.

Un passo decisivo per la ripresa del dialogo dopo lo schiaffo del San Carlo, la gelida stretta di mano con Renzi davanti al palco reale e l’incomprensibile decisione del sindaco di disertare un vertice più volte annunciato. Con la firma del patto per Napoli il premier restituisce al sindaco quello che al sindaco spetta, cioè il riconoscimento di un ruolo centrale nella definizione dei progetti e nei tavoli dove si prendono (e si prenderanno, ci auguriamo) le decisioni che contano. La ripresa del dialogo istituzionale, insomma, era una premessa indispensabile per dare respiro - e risorse - a una città che in questi ultimi anni ha continuato ad accumulare ritardi sul fronte dello sviluppo.

Tanto più positiva è la svolta - con buona pace degli autolesionisti in servizio permanente effettivo - perché arriva in un momento decisivo per la città, sempre sospesa sul crinale tra potenzialità enormi e continui disincanti, improvvise euforie e battute d’arresto. In questi giorni, come documentiamo nelle pagine di cronaca, Napoli offre l’immagine di una città viva e vitale, con un fiume di turisti che continua a cingerla, anche ad ottobre, in un festoso assedio. È l’onda lunga di un estate che ha regalato sorrisi e numeri da record. La città palcoscenico sprigiona un’energia mille volte più forte del grumo nero che spesso sembra avvolgerla in un destino irredimibile. Certo, è una vittoria della natura più che dell’uomo; della grande bellezza più che di una felice e oculata programmazione.

La rendita delle bellezze artistiche, storiche, naturali è più forte di ogni messaggio dissuasivo, di ogni narrazione mediatica. E a favorire questo risultato ha contribuito pure lo stravolgimento dei flussi turistici, la grande fuga di milioni di visitatori dal Mediterraneo in fiamme e dai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente alle prese con un’instabilità geo-politica che difficilmente sarà di breve durata. Sembra quasi che Napoli si venda da sola, anche se poco o nulla viene fatto in termini di pianificazione turistica. Una città dalla quale i grandi artisti scappano, una città senza festival: l’unico, il Teatro Festival, si è rivelato un flop; orfana di grandi eventi, priva di impianti sportivi, inagibili o malamente chiusi da anni. Insomma tutto sembra muoversi nella logica dell’improvvisazione e dello spontaneismo: il turismo fatica a diventare sistema, la cultura stenta a diventare economia culturale.

Eppure l’errore più grande sarebbe proprio quello di considerare eterna la rendita delle bellezze naturali, dei tesori artistici e monumentali.
Questa fragilità di sistema, alla lunga, rischia di diventare una zavorra per una metropoli che voglia diventare davvero una grande capitale europea. Anche per questo la riqualificazione, la riconversione delle aree dismesse, gli investimenti, le infrastrutture e le occasioni di sviluppo non possono più restare solo nel recinto di un generico rivendicazionismo ma devono assurgere a fatti concreti, protocolli, iniziative concrete. O la città resterà nell’eterno limbo del vorrei ma non posso, tra euforie e sfinimenti, con le strade piene di turisti e i cassetti pieni di libri dei sogni.

 
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