«Io e Valeria sole contro tutti
tra barriere architettoniche terapie
e scuolabus negati» | Video

«Io e Valeria sole contro tutti tra barriere architettoniche terapie e scuolabus negati» | Video
di Paolo Barbuto
Giovedì 23 Marzo 2017, 08:59 - Ultimo agg. 19 Luglio, 18:23
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Valeria sta in silenzio sul divano vicina a mamma Flavia: ha 22 anni ed è uno scricciolo rinchiuso in un mondo dove non esistono parole né passi, sembra che non abbia la capacità di ascoltare e capire. Però quando la mamma inizia la parte più dolorosa del loro racconto comune, Valeria allunga le mani, si fa trasportare in braccio e inizia a stringere Flavia forte forte. Capisce eccome, sa che la mamma sta soffrendo e prova a consolarla, a modo suo.
 


Valeria vive da sola con la mamma, i genitori oggi sono separati. Erano insieme su una spiaggia della Sicilia quando arrivò la telefonata che cambiò la loro vita: c'è una bimba, è la vostra bimba. Avevano fatto domanda di adozione, quello era il giorno in cui stavano diventando genitori.

Volarono a Napoli con il primo collegamento, si scapicollarono ad abbracciare quel fagottino di venti giorni. Bellissima e tenera: nessuno sapeva che era malata. Lo scoprì la mamma quando erano passati già un paio di mesi. Le dissero che, se voleva, poteva rinunciare all’adozione ma Flavia rispose che quello non era mica un pacchetto da restituire: «È mia figlia e i figli si amano, non si restituiscono». La donna ricorda ogni singolo dettaglio degli ultimi 22 anni che sono stati una inesauribile via crucis di difficoltà, dolore e disperazione, eppure non riesce a cancellare il sorriso dolce dalle labbra ed è capace di raccontare quel dramma riuscendo a trovare sempre la maniera per farsi una risata: ride delle difficoltà, ride delle persone che hanno provato a umiliare la sua bambina, ride perfino quando ricorda quel momento in cui stava per rompersi l’osso del collo rovinando giù da una scalinata assieme alla carrozzina con Valeria.

Sono risate allegre che coinvolgono pure la figlia. Guardarle è un piacere, la ragazza si perde negli sguardi della sua mamma, la cerca, si nasconde dietro di lei quando è stufa delle foto, chiede le coccole quando ha voglia di sentirsi amata. Mette il broncio solo quando arriva l’ora della terapia e deve lasciare quel gruppo di strane persone che s’è presentato nel suo mondo con taccuini, fotocamere e macchine da presa: le piaceva sentirsi una star, mannaggia alla terapia.

Valeria ogni giorno veniva portata a scuola da un servizio di trasporto del Comune. Quest’anno anche per lei, come per tanti altri disabili, il servizio è stato sospeso: «Adesso vengono a prenderla, ma se vogliamo questo servizio dobbiamo pagare. Versiamo sette euro al giorno per andare a scuola», sospira Flavia che, però, difende con forza la necessità di frequentare un istituto e trascorrere ore in compagnia di altri ragazzi.
La ragazza è affetta dalla sindrome di Rett che è un coacervo di problemi, tutti invalidanti: il cervello si sviluppa poco, le capacità motorie sono ridottissime o addirittura inesistenti, l’aspettativa di vita si aggira intorno ai vent’anni: «Però la mia bambina ne ha 22 e sta benissimo - si consola Flavia - e poi ho conosciuto persone di quarant’anni che avevano la stessa malattia di Valeria. Io alle aspettative di vita basate sulla statistica non ci credo».

Dietro la porta d’ingresso del grazioso appartamento all’Arenella ci sono tante pantofoline di pezza, di primo acchito pensi semplicemente che sia una stranezza della padrona di casa ed entri con le tue scarpacce, dopo qualche minuto scopri che Valeria riesce a muoversi sono gattonando, mette le mani per terra e va in giro carponi, come fanno i neonati. Comprendi che quelle pantofoline rappresentano l’unica maniera per non sporcare il percorso dove la ragazza metterà le sue mani sofferenti e sempre ghiacciate, ti senti un verme per non aver badato a quel segnale all’ingresso, ma Flavia ci ride sopra, cancella l’imbarazzo e racconta qual è il segreto della mobilità di sua figlia: «Era destinata a rimanere bloccata sulla sedia a rotelle. Poi ho scoperto che c’era un medico americano, Delacato, che aveva inventato un metodo per dare una possibilità ai bambini che avevano problemi come Valeria». Si tratta di una infinita serie di movimenti e piegature e mille modi per aumentare la sensibilità, richiedono un tempo infinito per essere completati. Così la casa di Flavia venne allestita per seguire quel metodo: «E attorno a noi si aggregò un gruppo di venti persone, dai quindici ai sessant’anni, che si davano il cambio per far fare gli esercizi a Valeria», la donna si commuove al ricordo di quei giorni che ora sono lontani: «Dai due ai dodici anni la mia bambina ha seguito quel percorso, grazie a tutte quelle persone che ancora oggi rappresentano per me una famiglia allargata e felice». Solo grazie agli esercizi di quei giorni oggi Valeria è capace, almeno, di gattonare per casa.

E solo grazie alla tenacia della mamma oggi la ragazza riesce a farsi capire scrivendo sul computer ciò che vorrebbe dire: «Iniziammo con una tastiera disegnata sulla carta, oggi grazie a un tutore che le tiene braccio e mano dritti, Valeria può comunicare». 

Tutti iniziò con la testardaggine della donna che, a dispetto di maestri e professori lottò per insegnare a sua figlia a leggere. Ma siccome Valeria non parlava, era impossibile sapere se gli insegnamenti erano utili: «Così un giorno ho deciso di iniziare a “parlare” con lei - il volto di Flavia adesso si illumina - scrissi su un foglio: mi vuoi bene? Lei fece segno di sì con la testa. Allora davvero sapeva leggere. Così continuai: mi vuoi abbracciare? Arrivò un altro sì, con la testa che si alzava e si abbassava. Infine scrissi: e allora abbracciami. E Valeria mi strinse forte. Sapeste quanto ho pianto in quel momento».

Però a scuola le professoresse non credevano nelle possibilità della ragazza. Erano certe che non capisse, la ignoravano o la deridevano. Un pomeriggio Valeria rifiutava tenacemente di fare i compiti di una specifica materia, quando la mamma le chiese il perché, lei andò al computer e scrisse: «È inutile perché in classe la professoressa dice che io non posso capire niente». Invece Valeria capiva. E soffriva.

Mamma e figlia oggi lottano da sole, ed è una lotta vera: «Contro l’Amministrazione che ci toglie il trasporto scolastico o che dimentica di pagare i terapisti, così il servizio viene cancellato o arriva a singhiozzo. Contro i maleducati che non rispettano il parcheggio dei disabili, contro quelli che piazzano auto e motorini davanti agli scivoli dei marciapiedi, contro i negozi che hanno due scalini. Perché io un solo scalino lo scavalco con la carrozzina, due invece diventano l’Everest. Certe volte evito di uscire perché sono una che perde le staffe e in questa città basta percorrere dieci metri con una carrozzella per arrabbiarsi».

L’ultima tenace battaglia, però Flavia e Valeria l’hanno perduta. Abitavano al Vomero in un palazzo che aveva otto scalini all’ingresso, chiesero all’assemblea condominiale di poter installare uno scivolo per la sedia a rotelle. Le persone votarono a sfavore perché il palazzo sarebbe stato meno bello. In tribunale, in primo grado, prevalsero le ragioni di Valeria e del suo scivolo ma l’assemblea condominiale fece ricorso, in secondo grado persero. Via lo scivolo: «Una signora disse che quello scivolo avrebbe reso difficile il trasporto di una bara se fosse morto qualcuno nel palazzo. Io indicai Valeria e dissi: dunque lei preferisce che mia figlia venga seppellita in casa, morta mentre è in vita. Così abbiamo traslocato». Flavia non riesce a trattenersi e inizia a ridere: «Però quello scivolo piaceva a tutte le signore del palazzo, vedeste come lo sfruttavano col carrello pieno di spesa». Il commiato arriva con un’ultima risata.

La porta si chiude, guardi i compagni di lavoro e dici: questa volta niente lacrime, abbiamo riso tanto. Invece fai dieci passi scendendo le scale, ti volti, e scopri che anche gli altri hanno i lucciconi, proprio come te. 



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