L'albero e gli occhi chiusi sui veri orrori

L'albero e gli occhi chiusi sui veri orrori
di Vittorio Del Tufo
Martedì 15 Novembre 2016, 08:54
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Ogni tanto la coscienza urbana di questa città si risveglia. E ha brevi sussulti, com’è accaduto con la levata di scudi dei numerosi intellettuali che hanno espresso - del tutto legittimamente - le loro perplessità in merito alla realizzazione del mega-albero di Natale alla Rotonda Diaz. Capita che quella stessa coscienza talvolta arretri, s’inabissi addirittura, di fronte ai veri scandali (altro che N’Albero, installazione tra l’altro a tempo) che sfregiano il volto della città, dal centro alla periferia, e con l’aggravante del tempo pieno. All’indignazione provvisoria per un’opera provvisoria non si accompagna, come sarebbe doveroso, un’indignazione permanente per le vergogne permanenti.

Perché la coscienza urbana della città, ridestatasi in questi giorni, arretra di fronte alle cicatrici che continuano a deturpare il volto di Napoli? Va detto che è un torpore indotto, il più delle volte, dalla rassegnazione, qualche volta dallo sgomento. L’elenco delle cicatrici è talmente lungo che la querelle sulla piramide del lungomare strappa quasi un sorriso. Eppure sono altrettanti schiaffi assestati in pieno volto alla città.

Come la Villa Comunale, autentico monumento al naufragio delle promesse, putrescente di cantieri immobili e abbandonata a un criminoso degrado; come la Galleria Umberto, che dovrebbe essere il salotto della città e invece cade letteralmente a pezzi; come la Mostra d’Oltremare, enclave ancora autoreferenziale all’eterna ricerca di una mission che non riesce a trovare, attrattore fieristico e congressistico mai decollato nonostante le sue enormi potenzialità; come il parco Troisi o quello dei Camaldoli, che senza manutenzione rischiano di diventare ricettacolo di tossicodipendenti e balordi. E Napoli non ha forse tradito la memoria di uno dei suoi architetti più geniali, quel Lamont Young che morì suicida a villa Ebe, forse intuendo che al suo gioiello neogotico abbarbicato sul monte Echia sarebbe toccato in sorte un futuro inglorioso, di degrado e abbandono?

Ma c’è dell’altro. La polemica, per certi versi surreale, scatenata dall’installazione dell’albero del lungomare ha fatto da detonatore anche all’esplosione di una polemica ben più grande ed annosa, quella legata al rapporto (oggi inesistente) tra la città e l’arte contemporanea. 

È del tutto evidente che l’installazione della Rotonda Diaz è misera cosa di fronte a esperienze come la Montagna di Sale di Palladino, e ha ragione l’ex soprintendente Nicola Spinosa quando afferma che, dai tempi di Bassolino in poi, nessuno è più riuscito a mettere in relazione la città con l’arte contemporanea. Dev’esserci qualche difficoltà anche a mettere in connessione la città con l’arte non contemporanea, se è vero che nonostante la navetta voluta da Sylvain Bellenger i turisti continuano a non andare a Capodimonte, scrigno di tesori e di antiche memorie, perché collegato male con il centro, sconnesso dal corpo vivo della città. D’altra parte, non è forse ancora sconnesso con la città un vero e proprio monumento a cielo aperto come piazza del Plebiscito? Il predecessore di Garella alla guida della soprintendenza, Giorgio Cozzolino, aveva affermato che la piazza può e deve vivere solo con la luce delle stelle e della luna. Garella non era di questa opinione, e nemmeno il sindaco De Magistris. Bene, ma cosa è stato fatto in questi anni per far rivivere il Plebiscito, che ancora oggi è un pozzo nero, un luogo inospitale e tetro dal quale, soprattutto di sera, è meglio stare alla larga? I progetti di rivitalizzazione della piazza sono scomparsi dai radar, non si ha notizia di rivoluzioni al riguardo.

È vero, la politica culturale non si fa solo con gli alberi e con luci, e manca un progetto complessivo, una visione strategica della risorsa-cultura. Ma Spinosa sbaglia quando afferma che a Napoli i turisti vengono solamente per evitare di farsi ammazzare dall’Isis in Tunisia, in Marocco e in Egitto. Evitiamo di autoflagellarci, per piacere. Napoli non è premiata solamente da una favorevole (si fa per dire) congiuntura internazionale: la spinta propulsiva della città, la sua proiezione internazionale, le gemme incastonate nello splendido museo a cielo aperto del centro storico sono il miglior volàno per una politica di attrazione turistica. Lo sono sempre state e lo saranno ancora, si spera a lungo. A patto che si diffonda, a tutti i livelli, la consapevolezza che la bellezza da sola non basta, se non è accompagnata da progetti seri e ambiziosi e da gambe robuste in grado di farli camminare.
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