L'alga che non soffre il freddo:
la scoperta firmata Napoli

L'alga che non soffre il freddo: la scoperta firmata Napoli
Martedì 17 Gennaio 2017, 14:05 - Ultimo agg. 14:26
2 Minuti di Lettura
L'alga alla base della catena alimentare degli oceani è riuscita ad adattarsi al freddo più rigido, come quello dell'oceano antartico, grazie a una "doppia personalità". Riesce infatti a utilizzare parti del Dna diverse in base alla temperatura in cui vive. Lo ha scoperto il gruppo coordinato da Thomas Mock, dell'università britannica East Anglia di Norwich. La ricerca parla anche italiano, con il contributo di Remo Sanges e Mariella Ferrante, della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli.

Come il dottor Jekyll e mister Hyde del romanzo di Robert Louis Stevenson, in questa minuscola alga coesistessero due "personalità" diametralmente opposte. In pratica questa alga, che come l'uomo ha due versioni di ogni gene, può 'accenderè selettivamente la versione più adatta all'ambiente in cui vive. Grazie a questa capacità la diatomea polare, Fragilariopsis cylindrus, si è adatta a vivere nell'ambiente estremo dell'Antartide, caratterizzato da temperature sotto lo zero e periodi di oscurità prolungati.

Questo "trasformismo", ha spiegato Sanges, «avviene grazie a un'estrema variabilità delle copie dei geni, caratteristica mai osservata prima in un organismo marino». Il fenomeno è stato scoperto confrontando il Dna di questa specie con quello di una 'cuginà che vive in climi temperati e che prospera nel Golfo di Napoli, la diatomea Pseudo-nitzschia multistriata. Grazie alla sua capacità di adattamento, la Fragilariopsis cylindrus è diventata una specie fondamentale nell'Oceano Antartico dove è l'alimento base per il krill, nei pinguini, nelle foche nelle balene. «Conoscere le funzioni dei geni di organismi difficili da raggiungere - ha osservato Sanges - acquisisce valore anche nell'ambito dell'industria biotecnologica, che spesso impiega organismi che prosperano in condizioni estreme come preziosa fonte di nuove molecole». Queste alghe, ha aggiunto «potrebbero fornire conoscenze per la produzione di biocarburanti, perché producono, con la più alta efficienza conosciuta, acidi grassi che utilizzano nei periodi senza luce».
© RIPRODUZIONE RISERVATA