Delitto Materazzo, quella frase choc: «Mio fratello Luca vuole uccidermi»

Delitto Materazzo, quella frase choc: «Mio fratello Luca vuole uccidermi»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 22 Gennaio 2018, 08:15 - Ultimo agg. 13 Aprile, 10:27
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Ha trascorso l'ultimo mese di vita, con una certezza: il fratello Luca voleva ammazzarlo. Prima ancora che la sua esistenza finisse sotto i colpi di quaranta coltellate, Vittorio Materazzo nutriva forti sospetti sul fratello di sedici anni più giovane, con cui da tempo i rapporti erano burrascosi per via della gestione del patrimonio familiare. È questa la convinzione di uno dei testi chiave del processo a carico di Luca Materazzo, secondo quanto emerso dagli atti a disposizione delle parti. A confermare questa circostanza, la sera del delitto, è un professionista napoletano, che sente il dovere - a poche ore dall'omicidio di viale Maria Cristina di Savoia - di rivolgersi alla polizia. Sono le 22.30 del 28 novembre del 2016, quando viene sentito come teste il commercialista Stefano Romano, amico dell'ingegnere ucciso, depositario delle confidenze e dei tormenti che agitarono gli ultimi giorni di vita del professionista. Ecco il racconto del teste verbalizzato un anno fa: «Circa un mese fa, avevo esternato a Vittorio le mie preoccupazioni per alcuni messaggi anonimi che mi erano stati indirizzati, relativi alla mia presidenza dello Sci club, quando Vittorio mi disse queste parole: Tu ti preoccupi per queste sciocchezze. Che devo dire io che temo per la mia vita in quanto ritengo che mio fratello mi voglia uccidere. Non so se Vittorio abbia o meno formalmente denunciato anche tale suo timore...». Parole sinistre destinate a pesare nel corso del processo che sta per aprirsi il sette febbraio dinanzi al gup Alfonso Sabella. Ma sono migliaia le pagine di verbali e atti investigativi depositati in questi giorni dalla Procura.
 
Da un computer di Luca, è spuntata una lettera scritta proprio dal 36enne e spedita ai suoi cinque fratelli, un testo che conferma il contrasto interno al gruppo di eredi in merito alla spartizione dell'eredità di famiglia. In questo testo, Luca si mostra dimesso e autocritico: ammette di non aver conseguito i risultati brillanti nello studio e nel lavoro ottenuti dagli altri fratelli, ma ricorda anche la difficoltà di portare avanti un progetto senza l'aiuto dei genitori. E non è tutto. Propone una soluzione per quanto riguarda la spartizione dei beni di famiglia, di fronte all'impossibilità di condurre una vita autonoma, preso per altro dall'impegno di studiare in vista del concorso notarile. Questione di vita o di morte, dice Luca ai fratelli, con un passaggio che oggi risulta quanto mai sinistro: «Assolutamente consapevole dell'importanza, nell'interesse comune, di far fronte ai pagamenti dovuti, con tempestività e passione, purtroppo non posso consentire che aspetti assolutamente vitali, per me come lo sarebbero per chiunque, vengano del tutto tralasciati, costituendo ciò, se non fosse chiaro, una esplicita condanna a morte». Poi, a leggere le decine di testimonianze messe a verbale, c'è l'intero mondo relazionale del professionista di Chiaia a finire sotto i riflettori.

Tocca a Valentina Guglielmi, amica storica di Luca, rispondere alle domande degli inquirenti. Viene ascoltata come testimone, dopo aver dato ospitalità all'amico di sempre, fino a quando - la mattina del 9 dicembre - Luca prenderà il taxi per darsi alla latitanza. Il 17 gennaio di un anno fa, Valentina ricordò alcuni particolari che dimostrano che da giorni Luca stava organizzando la sua fuga (pur non essendo formalmente ricercato, ndr): «Portò a casa mia un pacco di foto risalenti, dicendomi di conservarle in quanto erano suoi ricordi personali a cui teneva molto. Mi chiese inoltre di scaricare le sue foto che aveva pubblicato su facebook, cosa che io iniziai a fare, dicendomi che non voleva perdere questi suoi ricordi». E ancora: «Mi chiese di dargli il mio passaporto e mi chiese se conoscevo un posto dove poteva procurarsi una parrucca per travestirsi». Agli atti anche la voce di un minorenne, uno studente sulla scena del delitto, che sentì le ultime grida di dolore dell'ingegnere ucciso: «Ho sentito un'ultima richiesta di aiuto. Ormai la voce si era fatta rauca, ho visto un uomo con il casco che correndo si dirigeva verso piazzetta Quattro stagioni. Urlai a mia mamma: guarda, c'è uno col casco che sta scappando, mentre una donna urlava dicendo: lascialo».
 

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