La lezione di Olivetti per il Mezzogiorno

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 20 Luglio 2016, 13:33 - Ultimo agg. 21:49
4 Minuti di Lettura
«Spesso il termine utopia è il modo migliore per liquidare qualcosa che non si ha voglia o coraggio o capacità di fare»: Matteo Renzi cita Adriano Olivetti, nel giorno della sua visita a Pozzuoli, e prova a rilanciare le ragioni del Mezzogiorno a partire da una delle sue eccellenze, il centro Tigem di Pozzuoli.

Al Tigem, si fa ricerca sulle malattie genetiche rare, spesso trascurate dalla stessa industria farmaceutica. Una ricerca d'avanguardia, sostenuta da numerose istituzioni e centri di ricerca, ma molto limitatamente da fondi pubblici, tanto che il governatore De Luca scherzando ha detto che forse sta qui una delle ragioni del suo successo. Ma né a De Luca né a Renzi premeva far polemiche. Piuttosto, le parole di Olivetti citate dal premier hanno un duplice significato: da una parte, un invito a non cercarsi alibi, dall'altro l'esortazione a puntare alto.

Naturalmente rimangono tutti i nodi di fondo di uno sviluppo che fatica a ripartire, tutte le contraddizioni di una realtà quotidiana le mille miglia lontana dai microscopi avanzatissimi del centro Tigem: si vedono anzi ad occhio nudo, senza bisogno di alcun ingrandimento.

Ma tra le cose che alla politica tocca sicuramente di fare, mentre denuncia criticamente (e anche autocriticamente) tutte le occasioni perse da una classe dirigente incapace di immaginare il futuro c'è sicuramente quello di reinventare le condizioni dello spazio pubblico e dell'azione collettiva.

Come hanno spiegato qualche anno fa George Akerlof e Robert Shiller, i famosi «spiriti animali» che guidano l’economia sono animali anzitutto nel senso latino del termine: hanno a che fare con ciò che ci anima, con le convinzioni che guidano gli attori economici, la prima delle quali è la fiducia. Renzi si può dire che non abbia parlato d’altro, ieri. Certo, ci vuole una dose di coraggio, nello sfidare lo scetticismo con le parole. E infatti questo governo sta provando a rilanciare anche una politica per gli investimenti per il Mezzogiorno. 
Ma il punto, ieri, era un altro. L’accento era messo su quell’elemento immateriale, impalpabile, su cui è ancora più difficile scommettere: quella cosa per cui, se nessuno si muove, tu non ti muovi, ma se qualcuno vicino a te si muove e si dà da fare, allora ti muovi anche tu. E cambia il vento.

Dinanzi sta la sfida che può essere riassunta nella seguente domanda: la situazione italiana, e del Sud in particolare, è la manifestazione di un declino storico, strutturale, che nell’epoca della globalizzazione investe inevitabilmente un’area periferica come l’Italia, e ancor più un’area arretrata come il Sud della penisola, visto che ormai si spostano altrove le determinanti dello sviluppo, oppure il corso economico degli anni a venire non è affatto segnato ed è possibile aprire una fase di ripresa economica, previa riforma e ristrutturazione del sistema-Paese, grazie anche alle risorse umane e culturali del Mezzogiorno? 

Il premier cerca di cogliere i segnali di fiducia, le occasioni di rilancio, le best practices che consentano di sciogliere il dilemma consentendo all’Italia di tornare nuovamente ad «abitare il futuro», come ha detto Renzi, eleggendo contemporaneamente Napoli a immaginifica capitale del tempo venturo. Vale per la Tigem, vale per Bagnoli, vale per gli sviluppatori della Apple. Ovviamente, dietro gli scenari proiettati in un avvenire possibile i divari territoriali e sociali restano tutti, e così anche il senso generale di una solidarietà poco diffusa fra le aree del Paese, che lascia Renzi abbastanza solo quando scende al di sotto del Garigliano. Il punto è però se l’indubbio impegno che il presidente del Consiglio sta mettendo, moltiplicando le visite a Napoli e nelle diverse realtà del Mezzogiorno, possa servire davvero a costruire un’impalcatura istituzionale orientata al cambiamento, raccogliere le forze economiche e sociali interessate a promuoverlo, piuttosto che poggiare solo su quelle sacche di interessi e poteri locali che tendono invece a perpetuare l’attuale equilibrio di sottosviluppo.

Poi c’è la politica. I complicati rapporti col sindaco di Napoli, le complicate e mutevoli alchimie del centro dello schieramento politico che sostiene il governo, i complicati propositi di rilancio del partito democratico dopo la botta delle amministrative, e infine la complicata partita per le riforme costituzionali, con il referendum in autunno. Il futuro oltre tutte queste complicazioni serve anche a semplificare, ma non è detto che riesca sempre a scioglierle.
© RIPRODUZIONE RISERVATA