Lockdown e delivery, caos e costi record: «Serve un'app napoletana»

Lockdown e delivery, caos e costi record: «Serve un'app napoletana»
di Gennaro Di Biase
Lunedì 16 Novembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 13:50
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Con la zona rossa, le strade sono tornate a essere un via vai ininterrotto di food drivers, e nei bar e nei ristoranti in queste ore tiene banco in particolare la «questione delivery», su cui è già intervenuto Antonio Bellavia, della storica pasticceria “Vincenzo Bellavia”: «Per motivi di comodità - ha spiegato in un’intervista al Mattino - i clienti preferiscono prenotare attraverso le grandi app di distribuzione del food, che però hanno costi molto elevati, vicini al 30% dell’incasso. Ecco perché preferiamo corrieri nostri». I pizzaioli vip Sorbillo, Vesi e Starita, più Carraturo, Giugliano e Schettino: molti nomi celebri della ristorazione sono favorevoli all’idea di una «app napoletana».

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Com’è noto, nel secondo lockdown i pubblici esercizi possono restare aperti solo per asporto e consegne a domicilio. Il Covid ha favorito il commercio virtuale a scapito del commercio di strada, ma la questione delivery è più sottile, e riguarda il crollo delle prenotazioni giunte in negozio o sul sito della singola attività e il boom delle prenotazioni tramite app: «Anche se in 14 anni abbiamo allestito un gran servizio per le consegne, su 10 prenotazioni ben 7 mi arrivano tramite app - spiega Enrico Schettino, titolare della catena Giappo - La competizione tra imprenditori o app locali e i grandi portali non esiste più: c’è troppa differenza di mezzi. Uber, per esempio, ha pagato di tasca propria per organizzare sconti anche del 50% sui miei menù: si tratta di super-promozioni che fidelizzano i clienti alla app. E poi c’è la questione dei driver: per assumerli noi imprenditori dobbiamo firmare contratti di lavoro subordinato, con tredicesime e tfr. Le app hanno a disposizione modalità contrattuali diverse, anche più light». «Per ogni 10 prenotazioni di piattaforma, ne arriva una a me in negozio - aggiunge Ulderico Carraturo, celebre pasticcere - La percentuale però può variare a seconda di come sono strutturati i negozi sulle consegne interne». Va detto, come specificato dagli stessi commercianti, che i servizi di Just Eat, Uber Eats o Glovo avvengono in sicurezza sanitaria, garantiscono efficienza nei tempi di consegna e sono preferiti dalla maggioranza dei clienti. Inoltre, diverse grandi piattaforme sono all’opera per aumentare tutele e garanzie dei drivers.

Michele e Ida Giugliano, dello storico ristorante Mimì alla Ferrovia, hanno scelto di non affidarsi alle app e hanno ideato un delivery personalizzato, tutto interno, che «coccola il cliente fino alla soglia di casa - racconta Ida - A volte è lo chef, Salvatore Giugliano, a consegnare i cibi.

Porta ai clienti anche il menù e gli dà consigli su come impiattare o conservare le pietanze. In alcuni casi la ricetta la completano a casa gli stessi clienti». «Preferiamo usare corrieri nostri - aggiunge Michele Giugliano - anziché mettere in cassa integrazione i camerieri li facciamo lavorare: è un vantaggio anche per lo Stato, che in questo modo sborsa meno soldi di cig. Inoltre è un modo per mantenere il contatto con la nostra clientela storica». 

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Grandi multinazionali ed economia locale. Un binomio delicato, oggi. A fronte di migliaia di camerieri e baristi a cui la pandemia ha scippato il lavoro, impegnando lo Stato nello sforzo - enorme, ma spesso non puntuale - della cig, nasce un esercito di corrieri del cibo con i marchi di aziende globali. In questo quadro, e nonostante alcuni tentativi già fatti ma non decollati, tanti invocano una app partenopea. «Sarebbe bello - dice Gino Sorbillo, che ha tenuto aperto per consegna e asporto anche sul Lungomare - se si riuscisse, attraverso una app di delivery made in Naples patrocinata dalle istituzioni, a far lavorare i tanti giovani napoletani che hanno perso il lavoro. Sarebbe un modo per far restare in città i soldi del territorio». «Il 30% su ogni consegna è tanto - aggiunge Giuseppe Vesi - Unirci in una app risolverebbe diverse questioni importanti». «So che è in cantiere una nuova app locale privata - prosegue Carraturo - Dubito che la gestione pubblica di una piattaforma potrebbe produrre risultati efficaci, ma le istituzioni dovrebbero promuoverla con il marketing». «Ho tenuto 4 ragazzi per le consegne dirette - conclude Antonio Starita - Anche se ho un contratto vantaggioso con Uber, che è una piattaforma efficiente, non posso non essere d’accordo con la creazione di una app locale. Un tavolo al riguardo fu già fatto nei mesi scorsi, ma risultò difficile mettere tutti d’accordo».
 

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