L'ex boss rivela: i soldi del clan
reinvestiti sul Lungomare di Napoli

L'ex boss rivela: i soldi del clan reinvestiti sul Lungomare di Napoli
di Viviana Lanza
Giovedì 6 Ottobre 2016, 13:45
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I soldi della camorra investiti in ristoranti sul lungomare. Parola di Marco Mariano, l'ex boss dei Quartieri Spagnoli, da luglio collaboratore di giustizia. «Nella società - scrive, indicando nome e titolari della ditta, nel memoriale consegnato al giudice che sta processando lui e i suoi affiliati - c'è la commistione dei soldi di una quota pari a 150mila euro proveniente dai Calascioni, i Baratto di Fuorigrotta, e 150mila euro di una persona a sua volta socio storico dei Colascioni».

Nel memoriale, Mariano sintetizza la storia del clan di famiglia, descrive il ruolo di capo del fratello Ciro, ripercorre l'elenco di chi con lui è sotto processo indicando chi sarebbe affiliato e chi no, scagiona la moglie perché - sostiene - «era consapevole di chi sono ma non di quello che ho fatto e che facevo» e punta l'indice, in particolare, contro un imprenditore del settore della ristorazione: «Di onesto nella sua vita c'è soltanto il suo socio, un grande lavoratore». Mariano ricorda gli incontri e gli scambi di favori con l'imprenditore: in occasione della cessione di un locale in centro «solo per la mia presenza - racconta - dalla cifra concordata di 420mila euro chiuse per mio volere a 450mila euro. In seguito optò per il fitto d'azienda mantenendo la sua presenza fuori al mare, incassò in nero per due anni e battezzò un nuovo locale». Così l'imprenditore amico del boss «progettava di rilanciarsi nella cosiddetta Napoli bene» scrive Mariano nel suo memoriale. E spiega anche come siano stati possibili alcuni passaggi di quote societarie: «Con l'aiuto di commercialisti e ragionieri falsificava la firma per intestare la quota a un'altra persona».

«È conoscitore di tutta la criminalità dei quartieri e napoletana. Mi dica - aggiunge, replicando indirettamente alla versione difensiva dell'imprenditore sotto processo e snocciolando ricordi di incontri, soggiorni a Capri, mogli e figli sempre insieme, amicizie e affari comuni - se posso essere da costui considerato un estraneo». Le dichiarazioni di Marco Mariano sono al vaglio degli inquirenti. La sua attendibilità come collaboratore sarà valutata dai magistrati dell'Antimafia. Da lui ci si aspetta rivelazioni su importanti segreti della camorra, considerato il peso che il suo clan e i suoi fratelli hanno avuto nella malavita cittadina per decenni. «Siamo stati mezzo secolo di omertà, irriducibilità, antistato - scrive Mariano - Non siamo stati capetti del quartierino. Da scugnizzi a camorristi in una spirale ininterrotta». Le ammissioni su omicidi e altri reati sono contenute nei verbali degli interrogatori che l'ex boss sta sostenendo da quando ha scelto di collaborare con la giustizia. In quei verbali c'è spazio anche per un'analisi della nuova camorra. Il conflitto con i referenti dei Sarno ai Quartieri fu, per l'ex boss, «una delle più squalificanti azioni che la malavita abbia mai registrato» e lo dice riferendosi a quando «sotto casa di Ciro Mariano si calarono i pantaloni per un affronto che svilisce ogni vecchia concezione criminale». Di diverso peso sembra essere stato l'incontro con il babyboss di Forcella. Quel giovane, sì e no maggiorenne, Marco Mariano non l'ha dimenticato. Tanto che c'è anche un passaggio su quell'incontro nelle dichiarazioni che sta rendendo, da collaboratore di giustizia, ai magistrati della Dda. «Ora qui ci siamo noi» fu la risposta che Mariano ebbe da quel giovane che appariva determinato e che si era rivolto a lui come a un suo pari, senza timori reverenziali né intemperanze. Due diverse generazioni a confronto, due diversi modi di intendere e di vivere il crimine. Quel giovane era Emanuele Sibillo, ucciso in un agguato un anno fa.