Mini boss, Alfano alza il tiro: «A Napoli serve l’esercito»

Mini boss, Alfano alza il tiro: «A Napoli serve l’esercito»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 8 Febbraio 2016, 08:37 - Ultimo agg. 08:39
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Come nel 2007, come negli anni 1997-98, come le operazioni «alto impatto» e «partenope», torna l’ipotesi esercito per arginare una nuova emergenza camorra. La rispolvera il ministro dell’Interno Angelino Alfano, a pochi giorni dalla sua missione in Prefettura a Napoli, seguita da tre omicidi in poche ore. Intervistato da Skytg24, Alfano non ha dubbi: «Ci vuole l’esercito, per far zittire le pistole», rispondendo ai dieci morti ammazzati del 2016. E ancora: «A Napoli abbiamo ottenuto successi straordinari nel contrasto alla camorra - ha ricordato -. Ci sono intere generazioni di clan in carcere, boss al carcere duro, ma c’è un dato che mi lascia assolutamente insoddisfatto: i reati sono in calo ovunque, ma a Napoli gli omicidi aumentano. Dobbiamo zittire le pistole - ha proseguito -. L’ho detto anche a Renzi che adesso a Napoli ci vuole l’esercito. Abbiamo il contingente Strade sicure - ha precisato - ma occorre una norma per mandare più soldati a Napoli. Ovviamente la città non va militarizzata, ma vanno diminuiti gli omicidi, e vanno liberate forze dell’ordine da mettere in strada. Non sono d’accordo con chi sostiene che tanto si ammazzano tra di loro - ha concluso -: noi non possiamo fregarcene e dobbiamo far star zitte le pistole».

Una soluzione che non sembra suscitare entusiasmo a Napoli. Spiega al Mattino il procuratore Giovanni Colangelo: «È un problema, quello dell’esercito, più volte evocato, bisogna fare chiarezza: non può fare contrasto attivo ai fatti criminosi, non può essere utilizzato per fare indagini o presidiare l’ordine pubblico. L’esercito può essere utile solo per presidiare gli obiettivi sensibili (chiese, sinagoghe, monumenti, palazzi istituzionali), rendendo libere unità di forze di polizia che possono così essere utili per repressione e intelligence. Null’altro». Ma come interpreta le nuove faide in un territorio con 110 clan? «Lo dico da tempo. Al di là del lavoro di polizie e pm, ci vuole un intervento sul piano urbanistico, sul piano culturale, in campo preventivo: bisogna fare in modo che i figli - spesso giovanissimi - non trovino naturale rimpiazzare i padri finiti in cella. È una sfida che impegna lo Stato in tutte le sue forze, non solo quelle repressive».

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