Il ministro Giannini: «Dieci milioni per le scuole aperte, così strappiamo i ragazzi ai clan»

Il ministro Giannini: «Dieci milioni per le scuole aperte, così strappiamo i ragazzi ai clan»
di ​Marilicia Salvia
Lunedì 25 Aprile 2016, 10:34 - Ultimo agg. 10:35
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«Ogni ragazzo che conquistiamo noi è un ragazzo che perdono loro». Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini sa bene qual è la posta in gioco. Ha visitato tante scuole a Napoli e nell’hinterland, è in contatto con il dirigente regionale, conosce presidi e insegnanti di trincea. Sa che in certi quartieri solo la scuola è in grado di accendere la luce che indica la fine del tunnel: «La visita all’istituto primario di Caivano, per i bambini unico punto di riferimento in un’area totalmente degradata, mi è rimasta scolpita nell’anima», racconta. E sottolinea: «Ai ragazzi dobbiamo dare un orizzonte. Devono capire che non esistono storie già scritte. In questo senso la scuola non è il problema, è parte della soluzione».

Ministro, la scuola può giocare un ruolo determinante nella lotta alla criminalità organizzata. Da più parti si chiedono aule aperte anche di pomeriggio, si chiedono più insegnanti, laboratori per imparare un mestiere e impianti sportivi per imparare la disciplina. Se questo non avviene, la scuola “è” il problema, non trova?
«Le richieste che arrivano dal territorio sono sacrosante. Dico di più: bisogna fare in modo che le scuole restino aperte anche d’estate, anche nei giorni festivi. Il rapporto fra insegnanti e ragazzi non può conoscere discontinuità. Da questo punto di vista siamo mobilitati da tempo, nell’ambito dell’autonomia scolastica è già possibile organizzare prolungamenti».

Però a Napoli la percentuale di scuole che fanno il tempo pieno rimane bassissima, dieci volte più bassa che in alcune regioni del Nord. Si dice che mancano i soldi. Chi sblocca questa situazione, e come?
«Stanzieremo fondi specifici per l’apertura prolungata nelle scuole. Dieci milioni che utilizzeremo per le periferie delle grandi città: non solo Napoli ma anche Roma, Palermo, Bari, Milano e Torino. Sì, perché le periferie hanno vita complicata anche al Nord, sia pure per problemi diversi. Servono azioni mirate».

Dieci milioni che sarà possibile utilizzare subito? E per realizzare cosa?
«Sì, sono fondi immediatamente disponibili. Si tratta di utilizzarli per le attività extracurricolari che le scuole possono organizzare nell’ambito dell’autonomia».

Gli insegnanti dovranno lavorare di più? O ci saranno nuove assunzioni?
«Gli insegnanti, grazie al piano della Buona Scuola, in questo momento ci sono. Ma naturalmente non basteranno. Qui non si tratta di prolungare nella giornata l’apprendimento delle materie tradizionali. Si deve puntare sullo sport, sulla musica, che è l’altra grande passione dei giovani, sulle attività di laboratorio per avvicinarli a un mestiere. L’autonomia nella scuola resta la parola chiave ma perché funzioni davvero va orientata e guidata: per esempio, se si vuole puntare sulle attività sportive occorrerà ricorrere a figure specifiche di educatori e allenatori esterne all’istituto. E questo lo si potrà fare grazie all’accordo firmato a suo tempo dal ministero con il Coni, che ci mette appunto a disposizione le sue professionalità».

Ministro, per fare sport ci vogliono gli impianti. E per i laboratori gli spazi. Invece troppe scuole sono ancora disastrate dal punto di vista strutturale. Sgarrupate, si dice a Napoli.
«Sì, noi in Toscana diciamo scalcinate. Ma il piano Scuole belle, il primo grande progetto lanciato da questo governo, sta andando avanti a ritmi serrati. La gran parte degli interventi sono stati completati. Dove c’era bisogno di una vera e propria ristrutturazione ci serve un altro po’ di tempo. Diciamo la fine del prossimo anno scolastico».

E invece entro la fine di questo, che è ormai alle ultime battute, secondo lei si arriverà o no a qualche apertura prolungata? Dica la verità: non le viene mai il sospetto che nel mondo della scuola ci sia una certa resistenza ai cambiamenti?
«Direi che c’è una maggiore lentezza di reazione rispetto alla rapidità del cambiamento. Ma io non ho mai trovato, tra gli insegnanti e i dirigenti scolastici, a Napoli in particolare, nessuno che facesse resistenza. Al contrario c’è tanta voglia di fare, c’è un attivismo straordinario dei professori ai quali sono personalmente grata. Sono orgogliosa e costantemente vicina a persone che del loro mestiere, che è una missione, fanno ogni giorno una missione speciale».

In effetti nei quartieri a rischio di Napoli sta crescendo il desiderio di legalità, si moltiplicano le associazioni, i giovani si rimboccano le maniche: come minustro dell’Istruzione e dell’Università, legge una svolta in questi comportamenti? Come va sostenuto questo sforzo?
«Una mamma ci ha detto una volta “fate qualcosa che ci obblighi a mandare i nostri figli a scuola”. Questo è un obbligo morale di cui ci facciamo carico, ma bisogna riempirlo di contenuti. Dobbiamo dare prospettiva ai ragazzi, far capire loro che nella vita di ciascuno può accadere qualcosa di straordinario a prescindere dalle condizioni di partenza. Di fronte a un avversario forte, ben organizzato e strutturato come la camorra, è fondamentale questo movimento dal basso che si sta creando, e con il quale noi vogliamo dialogare costantemente. Non basta un’azione dall’alto: noi diamo strumenti, persone, soldi ma in collaborazione con il territorio. Valuteremo ogni proposta, lavoreremo insieme per realizzare questo progetto di “scuole al centro”: devono diventare il centro del cambiamento, ovunque esse si trovino».

Dunque pensa che abbia ragione il procuratore antimafia Franco Roberti, quando chiede un piano speciale per Napoli?
«Questa necessità del potenziamento delle scuole come poli di legalità per i ragazzi di Napoli l’avevamo maturata da tempo, è un percorso avviato. Sì, Napoli ha bisogno di un’attenzione speciale, e d’altra parte la presenza frequente del premier Renzi dimostra quanto il governo ne sia consapevole. È una corsa contro il tempo: la scuola è il nemico più forte e insidioso per la camorra, perché ogni ragazzo che conquistiamo noi lo perdono loro. Ma bisogna fare in fretta, perché vince chi arriva prima».

E di solito arrivano prima i clan. Con la lusinga di guadagni facili, in una realtà totalmente priva di prospettive diverse. Ministro, come si convince un ragazzo a prendere la strada ben più faticosa e meno remunerativa di un diploma e magari uno stage pagato pochi soldi?
«Bisogna partire prima. Far sì che quel ragazzo non veda la sua vita in bilico fra le due opzioni, soldi facili contro soldi faticati in fabbrica, ma veda un’altra vita: capisca che c’è un altro spazio interiore e fisico che lo aspetta, che c’è una felicità possibile, la realizzazone dei desideri, la bellezza della vita vissuta senza paure e senza violenze. Ai ragazzi occorre dare un orizzonte: per poterlo fare bisogna scardinare il loro mondo chiuso, e questo compito è della scuola. La scuola capace di regalare brividi, come quelli che abbiamo provato proprio a Napoli, a piazza Plebiscito, qualche giorno fa: nella piazza c’erano migliaia di ragazzi per il coro più grande del mondo, il coro del riscatto, della voglia di divertirsi e di imparare, di guardare in faccia l’orizzonte. E superarlo».
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