Il mistero delle 120 persone
svanite nel nulla nel Napoletano

Il mistero delle 120 persone svanite nel nulla nel Napoletano
di Giuseppe Crimaldi
Lunedì 10 Ottobre 2016, 23:40 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 20:48
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Resta senza un nome e senza nessuno che ne reclami il corpo. Sono ormai passati 15 giorni dalla scoperta di quell’uomo impiccato ad un albero di castagno, sulla collina dei Camaldoli: due settimane e nessuno - a cominciare dai carabinieri che svolgono le indagini - riescono a dare un nome e un volto a quella persona dalla apparente età di 30-40 anni ritrovato senza documenti, telefonino, né segni di riconoscimento. Nulla. Un buco nero. Lo stesso nel quale sembrano essere precipitati i 120 scomparsi che da un anno compaiono nell’elenco riservato delle forze dell’ordine: perché tanti sono gli uomini e le donne di cui non si ha più traccia nella provincia di Napoli. Centoventi.

Un piccolo e variegato esercito di fantasmi, soggetti dei quali da tempo si sono ormai perse le tracce. Maschere senza nome. Un elenco del quale fanno parte non solo i senzatetto, i clochard che la vita ha spesso costretto ad un’esistenza senza più dignità; ma anche i padri di famiglia, persone da un’esistenza apparentemente “normale”, ai quali vanno ad aggiungersi quelli sui quali inevitabilmente la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine è costretta a posarsi. Le ipotesi. In attesa dei risultati dell’autopsia - che arriveranno solo tra un mese e mezzo - resta il giallo. Un mistero che va ben oltre il caso delle persone qualificate come “scomparse”.

L’uomo ancora senza identità trovato impiccato a metà settembre lungo un impervio dirupo della collina dei Camaldoli (generalmente battuto da chi conosce bene il territorio e la zona, soprattutto da cacciatori e cercatori di funghi) non aveva con sé documenti. Nelle tasche dei pantaloni nessun biglietto: e in genere chi decide di togliersi la vita lascia almeno due righe spiegando le ragioni del gesto estremo. Per gli investigatori la pista privilegiata resta quella del suicidio. Eppure le domande, gli interrogativi che restano sullo sfondo di questa tragedia, permangono. Per chi ha memoria, e per chi non dimentica, inquietanti analogie tornano a galla se si ripensa a una tragedia accaduta il 21 aprile di due anni fa sempre nel quartiere Arenella: un giovane - in quel caso si trattava di un tossicodipendente - venne trovato morto, impiccato con le identiche modalità del morto dei Camaldoli (e cioè con una fascetta che gli legava i polsi dietro le spalle) - e anche allora il caso venne liquidato come un suicidio. Anche in questo caso il medico legale propende per il suicidio.

Solo un caso? Non è questo l’unico interrogativo che si pone. In attesa degli esiti finali dell’autopsia gli interrogativi sono tanti. Proviamo a sintetizzarli. Prima domanda: come mai nessuno si è fatto avanti chiedendo almeno di riconoscere la salma del misterioso uomo senza nome? Come mai - pure in presenza di oltre cento denunce di scomparsa - non c’è stata richiesta di riconoscimento? Secondo quesito: perché di quel corpo senza vita non ci sono riscontri basati sugli esami scientifici del Dna custoditi nei database delle forze dell’ordine? Sul caso dell’impiccato senza nome si sta occupando anche la Procura.

Il pm di turno, nel giorno in cui venne scoperta la salma, a metà settembre, era il sostituto Sergio Amato: magistrato esperto che ha condotto importanti inchieste sulla criminalità organizzata e sui clan attivi tra la zona di Miano e del Rione Sanità, area nella quale da mesi è attiva una guerra di camorra fatta di raid, stese e agguati senza esclusione di colpi.

Il fascicolo è stato anche trasmesso ai suoi colleghi della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. E si attendono i riscontri. Perché quel povero corpo irriconoscibile, senza documenti né segni distintivi, non si esclude che possa appartenere a uno dei tanti scomparsi di lupara bianca.

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