Tre napoletani scomparsi in Messico: la Procura di Roma apre un'inchiesta

Tre napoletani scomparsi in Messico: la Procura di Roma apre un'inchiesta
Sabato 17 Febbraio 2018, 20:17 - Ultimo agg. 20:25
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Nessuna traccia dei tre italiani scomparsi nel nulla in Messico ormai da 18 giorni nonostante l'impegno della Farnesina che sta seguendo il caso in stretto raccordo con le autorità locali. La procura di Roma ha aperto un fascicolo d'indagine sul sessantenne Raffaele Russo, suo figlio Antonio e suo nipote Vincenzo Cimmino, rispettivamente di 25 e 29 anni, tutti di origine napoletana, di cui sono perse le tracce il 31 gennaio scorso. I tre si trovavano nella zona di Tecaltitlan, nello Stato di Jalisco, area a rischio per la forte presenza di criminalità locale, e sono scomparsi in tempi diversi. La famiglia ha precisato di non aver ricevuto «nessuna richiesta di riscatto».

Russo era da tempo nel Paese centroamericano americano, dove faceva il venditore ambulante. Antonio e Vincenzo, invece, erano arrivati soltanto cinque giorni prima della sparizione, anche loro per lavorare. Secondo il racconto dei familiari, le tracce di Raffaele si sono perse il 31 gennaio scorso attorno alle 15. Il figlio e il nipote hanno provato a chiamarlo ma il cellulare è rimasto muto. In Messico ci sono anche altri due figli di Russo, Francesco e Daniele. Ed è quest'ultimo, rientrato in Italia, a raccontare quel che accadde dopo: «Noi eravamo troppo lontani, così abbiamo chiamato Antonio e Vincenzo e gli abbiamo detto di andare a cercarlo».

I due, sempre secondo la ricostruzione di Daniele, sono partiti dal punto nel quale il gps dell'auto noleggiata dal sessantenne segnava la sua ultima posizione. «Quando sono arrivati, non hanno trovato né la macchina né mio padre. Hanno chiesto alla gente, ma nessuno aveva visto nulla». A quel punto si sarebbero fermati a fare benzina in un distributore. E lì sarebbero stati avvicinati da diversi poliziotti a bordo di due moto e un'auto, che hanno intimato loro di seguirli. «Antonio è riuscito a mandarmi una serie di messaggi con Whatsapp - dice ancora Daniele - ma ad un certo punto anche i loro telefoni sono risultati spenti». Daniele e il fratello sono tornati cosi in albergo, a Ciudad Guzman e hanno cominciato a contattare la polizia di Tecaltitlan.

A quel punto la storia diventa ancora più confusa. «In un primo momento - sostiene Daniele - ci hanno detto che Antonio e Vincenzo erano stati arrestati e stavano andando all'ufficio, mentre di Raffaele non sapevano nulla. Ma durante una seconda telefonata questa versione è stata negata dalle autorità messicane». Da quel momento ci sono solo ipotesi. E la procura di Roma avvierà a breve i primi contatti con gli omologhi locali, che sul caso hanno avviato un procedimento. La famiglia nega che i tre abbiano mai avuto rapporti con narcotrafficanti ma ha paura e spera comunque che la vicenda, se si trattasse di un rapimento, si possa concludere il male minore, una richiesta di riscatto. «Loro sono solo lì per vendere giacche, non hanno nulla a che fare con la droga» dice Modesta, una cugina, che aggiunge: «Lì funziona così, ti rapiscono e poi chiedono il riscatto. Ma finora nessuno si è fatto sentire».

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