Napoli, ecco i «furbetti» del Loreto Mare: tra doppio lavoro e shopping

Napoli, ecco i «furbetti» del Loreto Mare: tra doppio lavoro e shopping
di Gigi Di Fiore
Sabato 25 Febbraio 2017, 08:16 - Ultimo agg. 08:34
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Quel tre novembre del 2014, Tommaso Ricozzi, 60 anni, medico radiologo, risultava in servizio all’ospedale Loreto mare dalle 8,08 del mattino. Avrebbe dovuto smettere di lavorare, per tornare a casa nel quartiere Chiaia, alle 19,51. Invece, già alle 13,45 usciva dall’ospedale per non tornarci più. Non sapeva che i suoi movimenti erano tenuti sotto controllo dai carabinieri, che ne annotavano e registravano ogni singolo passo. E così, i militari ne documentavano lo spostamento in via Servio Tullio al Centro sportivo Epomeo dove, in uno dei tre campi da tennis in terra battuta, Ricozzi giocava una partita con un amico. Il tempo di farsi una doccia, poi lo spostamento in una gioielleria della zona Chiaia per comprare un regalo. Tutto, mentre il medico risultava presente al suo posto di lavoro, come avrebbe attestato il badge, non solo quello d’ingresso che aveva timbrato di persona, ma anche in uscita come registrato da un tecnico del servizio di Radiologia al piano terra dell’ospedale.

È uno dei casi nell’ inchiesta per assenteismo, su dipendenti del famoso ospedale cittadino Loreto mare in via Marina. Ospedale di frontiera, dal nome reale di Santa Maria di Loreto, costruito negli anni ‘50 del secolo scorso e con una media di 13mila ricoveri all’anno. Tommaso Ricozzi è indagato per truffa e non fa parte dei 55 finiti agli arresti domiciliari. Ma la sua posizione fino al 2015, di medico «intramoenia» con rapporto di esclusività con l’ospedale, viene monitorata e seguita con attenzione dagli inquirenti. Separato, il medico ha intestato un centro di radiologia privato alla sua ex moglie nel quartiere Fuorigrotta. Senza preoccuparsi delle possibile conseguenze, lo pubblicizza durante una delle trasmissioni sportive sul Calcio Napoli, di cui è tifosissimo, e quel video finisce su Youtube. Maledetti social, oggi gli inquirenti hanno a disposizione più strumenti per raccogliere indizi da raccogliere per rafforzare ipotesi d’accusa.
 

 

La ex moglie del medico riceve uno stipendio nel centro diagnostico, che viene aperto nel 1996. È la violazione del rapporto di esclusività che viene contestato al medico. E, ironia della sorte, proprio per accertamenti su Ricozzi e altri due suoi colleghi è nata l’indagine dei carabinieri su delega dalla sezione reati contro la pubblica amministrazione della Procura di Napoli. Un esposto anonimo contro il loro doppio lavoro e i loro centri di analisi ha fatto scattare le verifiche, con l’installazione di due telecamere puntate sui marcatempo, le intercettazioni e i pedinamenti.

Il 25 novembre del 2014, sempre Tommaso Ricozzi, entrato in servizio alle 13,42, lascia l’ospedale alle 15,05 con cinque ore d’anticipo rispetto al turno prefissato. Ne lascia traccia, prenotando un taxi che lo viene a prendere all’ospedale e lo porta alla concessionaria della Fiat in via Giovanni Porzio. Poi uno spostamento nella zona collinare cittadina, per ritornare al lavoro solo alle 17.08. Il primo aprile del 2015, Tommaso Ricozzi si dimette dalla Asl Napoli 1 e da quel momento si dedica al lavoro al centro diagnostico personale. Una conseguenza anche della conoscenza dell’inchiesta giudiziaria in corso, diventata di dominio pubblico in ospedale dopo la notifica del decreto di proroga indagine a chi ne era coinvolto. Come Ricozzi che, il 21 novembre del 2014, commenta in una registrazione ambientale l’incremento di fatturato del 25 per cento del centri diagnostico a 600mila euro. In una telefonata con un amico, poi, fa presagire già la sua scelta futura: «In questo ospedale qui purtroppo è una merda perché poi andremo a finire a Ponticelli, probabilmente dove ci distruggeranno lavorativamente... Prima comincio a guardare intorno già ne ho le palle piene e vedo un po’ che succede».

L’allusione all’Ospedale del mare, da avviare a Ponticelli, era evidente. Con Ricozzi, altro medico radiologo indagato è Vittorio Trivellini, 53 anni e residente a Posillipo, figlio di un noto medico radiologo che aveva avviato nel 1967 un centro diagnostico in piazza Cavour, poi spostato nel 2002 nella nuova sede in via Rosaroll e gestito dalla madre, la sorella e una nipote. Ancora i social e su Facebook Trivellini ammette di lavorare nel centro medico di famiglia. Eppure ha il contratto di esclusiva con l’ospedale. Secondo i carabinieri, in sei anni, avrebbe truffato alla Asl 125.081 euro di «indennità di esclusiva», non rispettata. Di poco superiore l’indennità intascata, negli stessi anni, da Ricozzi: 126.175.
 

Pedinamenti anche per Trivellini, ma anche intercettazioni che, secondo gli inquirenti, dimostrano la sua doppia attività. Il 2 dicembre del 2014, parlando con una collega dell’ospedale Ascalesi in aspettativa per poter lavorare in un centro privato, Vittorio Trivellini dice di volersi «tenere il posto in ospedale». Il 19 novembre, prima di venire a conoscenza dell’inchiesta in corso, Trivellini arriva in ospedale alle 14,45. L’orario di servizio doveva iniziare, invece, alle 9,45, ma il medico è negli uffici della direzione generale della Asl Napoli 1 in via Comunale del Principe, nella zona alta della città, a parlare della sua pratica di rinnovamento della convenzione del centro diagnostico di famiglia. Un dipendente della radiologia aveva provveduto a timbrare il cartellino al suo posto. Gli manda un sms, per tranquillizzarlo: «tutto ok».

Il trio di radiologia, coinvolto nell’accusa di truffa per doppio lavoro, si completa con Alberto Ciamillo, 57 anni residente a Posillipo, che, conti alla mano, avrebbe intascato in sei anni 33.892 euro della famosa «indennità di esclusiva». È l’unico a non avere un proprio centro diagnostico, ma svolge la sua attività anche in almeno quattro strutture private della provincia vesuviana. I carabinieri lo pedinano il 6 novembre del 2014. 

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