Carla, bruciata dall'ex: «21 interventi,
ora aiuterò le donne a proteggersi»

Carla, bruciata dall'ex: «21 interventi, ora aiuterò le donne a proteggersi»
di ​Gigi Di Fiore
Giovedì 24 Novembre 2016, 08:23 - Ultimo agg. 11:43
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Inviato ad Arco Felice

«La prima cosa che ho chiesto al mio avvocato? Per quanto tempo il mio aggressore sarebbe rimasto in carcere». Parla Carla Caiazzo, la donna sfigurata dal suo ex: «Ho già subito 21 interventi ma sono rinata, voglio aiutare le altre donne a capire i segnali che io ho ignorato».

La piccola Giulia ha solo dieci mesi, ma cammina nel girello senza indugiare, con le sue scarpettine rosse. Non la infastidiscono gli estranei che girano per casa. Li guarda con i suoi grandi occhioni neri e sorride. Giulia è quella figlia che Carla ha voluto con tutta se stessa, che ha protetto facendo barriera con le mani sulla pancia incinta all'ottavo mese quel giorno di un'altra vita, quando le fiamme cominciavano ad avvolgerle il corpo. Carla sembra rilassarsi, nella casa dove vive con Enzo, il suo compagno, che sembra volerla proteggere e guidarla in ogni istante.

Una casa con un piccolo cortile d'accesso malandato e dallo studio pieno di targhe, ricordi e diplomi. Lo stretto corridoio sbocca in un piccolo soggiorno collegato alla cucina da una piccola finestra rettangolare che buca la parete. Carla è seduta sul divano bianco a due posti, accanto a Enzo. In piedi, c'è anche l'avvocato Maurizio Zuccaro, che l'ha assistita nel processo contro Paolo. Lei non ci aveva dormito, la notte prima della sentenza. Troppa ansia, troppi pianti nelle lunghe ore d'attesa. E Enzo l'aveva portata in giro, a vedere amici per distrarsi prima di rientrare in casa alle due del mattino.

Poi, da sola e con la bambina, aveva aspettato la notizia della sentenza. Quando a telefono l'avvocato le ha comunicato la condanna, gli ha fatto i complimenti. D'impeto, alla sua maniera: «Ssì gruoss!». Poi un pianto liberatorio. Piccolina, molto magra dopo il calvario di interventi chirurgici non ancora finiti, occhiali, sul volto e sui polsi i segni lasciati dal fuoco quel primo febbraio scorso. Sono le ferite visibili, sul corpo ne ha altre. Ma tante sono custodite nell'anima lacerata. Seduta sul divano, parla piano, scandendo le parole.

Carla, qual è stata la prima cosa che ha detto all'avvocato quando l'ha informata della sentenza?
«Gli ho fatto i complimenti in napoletano. Poi, ho chiesto per quanto tempo il mio aggressore sarebbe rimasto in carcere. C'è sempre timore che una condanna non corrisponda alla pena che sarà effettivamente scontata».

Cosa pensa, ora ,della sua tragica esperienza?
«Sono convinta che mi è stata data un'opportunità. E non è un caso, ma una prova della vita. Sono decisa ora a svolgere un ruolo di ambasciatrice, denunciando il triste fenomeno dei comportamenti di sopraffazione violenta di alcuni uomini nei confronti delle donne».

Perché alcuni uomini si comportano in questo modo? «Credo che certi uomini si sentono autorizzati a fare certe cose infami, cercando così di risolvere problemi personali. La violenza è dentro di loro. Non sanno che le donne devono essere sostenute, amate. Noi donne abbiamo tanto da poter dare, ma nell'amore e nella comprensione. Siamo noi a procreare, come si fa a usare tanta violenza contro di noi?»

Torniamo alla sua storia, Carla. È vero che non riusciva a dormire alla vigilia della sentenza?
«Sono stata molto in ansia. Ho realizzato realmente quanto stava accadendo solo dopo aver ricevuto la notizia della sentenza. Ora posso dirlo, non mi aspettavo che fosse fatta giustizia in questo modo. Siamo troppo spesso nel paese dei balocchi e non sempre si riesce ad avere giustizia. Questa è stata la volta buona».

Aveva poca fiducia in una sentenza che le desse giustizia?
«Ho vissuto le ultime ore, con grande agitazione. Dentro di me, però, avevo sempre una speranza positiva. Sa, io ho in me la forza della fede. Sono molto credente, questo mi ha aiutato a superare la dura prova cui sono stata sottoposta. E mi ha fatto capire che ora tutte le mie sofferenze vanno messe a disposizione delle donne che vivono situazioni simili per aiutarle».

Comincia la sua battaglia contro gli stalker e la violenza sulle donne?
«Proprio così. Qualche giorno fa abbiamo costituito l'associazione Io rido ancora. L'abbiamo chiamata così, perché lui, quando scappava dopo avermi dato fuoco, urlò voglio vedere ora se ridi ancora. Ecco, io sono qui, rinata in una mia seconda vita pronta alla mia battaglia per le donne».

Chi fa parte dell'associazione?
«Io ne sono la presidente, poi c'è il mio compagno, poi l'avvocato Zuccaro e il professore Roberto D'Alessio che mi ha salvata all'ospedale Cardarelli. Devo la vita a lui e lo ringrazio per avermi dato la possibilità di avere 21 interventi chirurgici che mi hanno dato speranza. Ne devo fare altri 25. In quel reparto, ho trovato umanità e sensibilità. Nell'associazione ci sono poi professionisti e medici psicologi».

Quali obiettivi si è data con l'associazione?
«Tutelare le donne vittime di uomini. Penso che sia indispensabile formare le nuove generazioni ad un corretto rapporto tra uomo e donna, far capire che l'amore non è violenza, non è sopraffazione. Sono pronta a girare per le scuole, a parlare raccontando la mia esperienza per evitare che altre possano riviverla. Basta restare in silenzio, le donne devono unirsi».

Chi le è stato vicino in questi mesi?
«Il mio compagno e la mia famiglia. Poi ho ricevuto attestati concreti di solidarietà da molta gente. Privati, perché dalle istituzioni ho avuto solo parole e annunci di sapore politico».

Lei ha una figlia, che ha voluto con forza. Che cosa le racconterà, cosa le insegnerà quando potrà capire?
«Le insegnerò che in una relazione dovrebbe esserci sempre l'amore, che deve guardarsi da chi non le dimostra questo sentimento. Il mondo è pieno di uomini perbene, che sanno amare, come il mio compagno. Mia figlia dovrà imparare a sapersi difendere».

Pensa, nella sua esperienza, che non si sia resa conto bene dei pericoli che poteva correre?
«Ora ne sono convinta. Ho fatto molti errori di valutazione in quella relazione. Non mi sono resa conto di tante cose, tanti segnali».

Cosa impedisce alle donne di difendersi in una relazione che degenera nella violenza?
«Per esperienza, penso che scatti un atteggiamento di omertà. Quasi una vergogna a raccontare, a segnalare. Invece, bisogna parlare, bisogna denunciare prima che sia troppo tardi. Non esistono alternative, tenersi dentro timori e sospetti porta a subire violenze».

Come vede il suo futuro?
«Al primo posto, c'è ancora la mia condizione di salute. Con gli interventi chirurgici non ho certo finito. Ho vissuto giorni difficili, rischiavo di morire. I medici hanno salvato mia figlia, ma anche la battaglia medica continua. Poi, sono decisa nel mio impegno contro la violenza sulle donne. Ho capito l'importanza delle associazioni, conoscendo anche Luisa Russo della Forza delle donne, che mi è stata molto vicina in questi mesi».

E il futuro nella vita privata, come lo vede ora?
«Ho vicino il mio compagno, che mi dà forza. Poi, c'è questa gioia, c'è mia figlia. È lei la felicità per antonomasia, è per lei che voglio andare avanti, voglio che non viva mai certe brutte esperienze. Dovrà sempre sorridere, come fa ora».

E lei, la piccola Giulia, sembra voler confermare le parole della mamma.

Sorride. Poi, la giovane baby sitter la prende in braccio per portarla dalla nonna. Lei non piange mai, si abbandona sicura a quei gesti familiari. Ha bisogno di serenità, di calore, di sicurezza. E, tra le mura della casa sembra trovarle. «Mai più esperienze come la mia» conclude Carla. E la sua sembra l'invocazione di una resuscitata. La Carla sopravvissuta a quel primo febbraio è un'altra donna. Fuori, ma soprattutto dentro. Decisa ad andare avanti e a trasformare la sua sofferenza in ricchezza per tante altre donne. La forza, ora, ce l'ha.

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