Per il giudice gli indizi a carico di Cammarota sono «gravi, precisi e concordanti» ma sulla vicenda restano ancora tante ombre. Il verdetto spiega perché sarebbe stato l'imputato ad appiccare il rogo a Città della Scienza, agendo con complici ancora da identificare, e in un contesto di presunta malagestio della Fondazione. Scrive il giudice: «Le indagini hanno dimostrato il disordine nella gestione economica della Fondazione, all'origine della scelta di disertare una riunione con esponenti del governo dove al secondo punto dell'ordine del giorno era stata posta la gestione economica dell'ente; la carenza di liquidità finanziaria dell'ente in arretrato nel pagamento delle mensilità ai dipendenti e in procinto di chiedere interventi pubblici al fine di mantenere i livelli occupazionali o almeno contenere gli effetti della situazione di dissesto economico; le irregolarità nella tenuta delle scritture contabili della Fondazione della quale erano ben consapevoli gli esponenti di vertice del gruppo», tanto da spingere gli inquirenti a disporre una consulenza tecnica per ricostruire la situazione finanziaria della società anche con riferimento alle polizze assicurative contratte prima di marzo 2013 nell'ambito di un parallelo filone investigativo.
Tutto questo, osserva il giudice, «non ha tuttavia offerto alcun elemento utile a individuare in modo diretto eventuali interessati all'esecuzione dell'incendio». Ed ecco che la piena luce sul rogo che la sera del 4 marzo 2013 si sviluppò dai quattro focolai azionati in diverse zone del grande polo culturale di via Coroglio, ancora non c'è. Restano ombre e interrogativi. Da chi fu aiutato Cammarota? Con i suoi silenzi chi o cosa starebbe coprendo?