La vegetazione, che pure cresce rigogliosa, è confinata dietro queste gabbie di metallo. «Stanno in piedi da tre anni», assicura un signore che abita proprio lì di fronte, additando indignato le transenne che negano al visitatore intere aree, fino a creare un percorso obbligato che da via Cimarosa scende fino al Museo della ceramica. E il degrado aumenta man mano che si digrada. Lungo i viali, dissestati in molti tratti, incontri lampioni rotti, tronchi mozzati, erbacce, panchine malridotte. In questa primavera d'inizio dicembre, con le foglie gialle e un sole che sembra aprile, la popolazione della Floridiana è composita: tra adolescenti a piede libero, giovani mamme con prole al seguito, turisti in tenuta da safari, anziani, coppiette (e gatti) in cerca di quiete, il parco è un rifugio per indigeni e turisti. Ma al pubblico sono interdetti alcuni degli angoli più suggestivi: i viali superiori, le serre, il teatro della Verzura (un'arena all'aperto da 150 posti), il Giardino delle camelie e uno dei due punti panoramici.
Praticamente, una buona metà della Villa.
Perfino il delizioso tempio ionico, restaurato e subito abbandonato, langue al di là delle recinzioni, inghiottito dalla vegetazione. E sì che appena sei mesi fa in questo parco dimezzato erano terminati i lavori di recupero del Museo Duca di Martina: un intervento da 5 milioni, con tanto di inaugurazione in pompa magna. Ma al termine dei lavori, iniziati il 5 febbraio 2015 e finiti dopo diversi rinvii il 20 maggio 2016, anche il monumento fresco di restauro è stato ingabbiato. «Sono chiusi anche i bagni pubblici: pare che la palazzina sia pericolante. Noi mettiamo a disposizione dei visitatori i nostri, e all'occorrenza facciamo anche da infopoint», riferisce Marina Pentangelo, titolare del Floridiana Caffè. Dall'ingresso del suo bar, in cima alla gradinata che scende verso il belvedere, il panorama è da togliere il fiato. Ma le rampe che portano giù sono tutte transennate. «Un disabile è costretto a rinunciare. Una vergogna, ma anche un peccato», si amareggia l'imprenditrice. «In fondo - scuote il capo -, basterebbe così poco».