Napoli, il boss pentito confessa dieci omicidi: «Io e l'inferno di Pianura per vendicare mio fratello»

Napoli, il boss pentito confessa dieci omicidi: «Io e l'inferno di Pianura per vendicare mio fratello»
di Leandro Del Gaudio
Domenica 13 Agosto 2017, 22:34 - Ultimo agg. 14 Agosto, 13:39
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C'è una data che ha cambiato la sua vita e non è quella - abbastanza recente - del suo primo verbale da pentito. No, la data che ricorda come spartiacque è il giorno dell'omicidio del fratello Carmine, nel corso di un regolamento di conti di sapore tribale, all'interno dello stesso gruppo familiare. 

Eccolo Pasquale Pesce, classe 1975, fino a qualche mese fa boss della periferia occidentale di Napoli, capo di una fetta di potere criminale radicato a Pianura, da condividere però con le famiglie rivali (anche se unite da rapporti di parentela) dei Mele e dei Marfella. 

Si pente Pasquale Pesce e non è il solo. Proprio negli stessi giorni, ha deciso di percorrere la stessa strada anche un altro ex killer, che - secondo la mappa del crimine locale - appartiene allo schieramento opposto a quello dei Pesce. Due pentiti ed ex rivali di una sanguinaria guerra di camorra: un indiscutibile successo investigativo per il pm Francesco De Falco (da quasi un anno coadiuvato dalla collega Celeste Carrano), sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Filippo Beatrice. Ed è in questo scenario che la scorsa mattinata vengono trovati i resti di una vittima di lupara bianca. Via Vicinale Palminetto, l'uomo fu ucciso circa diciotto mesi fa, sulla sua identità gli inquirenti sono a buon punto, anche se manca la conferma della prova scientifica. Si dovrebbe trattare di Giuseppe Celentano (del 73), un personaggio legato ai Pesce, dal momento che la soffiata giusta dovrebbe essere arrivata dal pentito dei Mele, a loro volta responsabili dell'esecuzione. Condizionale doveroso, data la complessità dell'inchiesta, si scava comunque nei casi di possibile lupara bianca che riconducono l'attenzione allo scacchiere malavitoso della periferia occidentale. 
 

 

È una caratteristica della camorra locale, quella di uccidere e far sparire i corpi, una pulsione tutta locale, dal momento che non sono isolate le denunce di scomparsa registrate negli ultimi venti anni da queste parti.
Ma torniamo al caso più recente, ai resti della vittima venuti fuori venerdì mattina dalle campagne che cingono la periferia ovest dell'area metropolitana, proprio nei giorni del grande caldo e degli incendi appiccati un po' dappertutto. 

Qual era la scena che hanno trovato gli inquirenti? Ossa ricoperte di vestiti e di terra, avvolti in un grande sacco della spazzatura di colore azzurro. Un sacco enorme, lungo almeno due metri, di quelli usati nelle officine e nei negozi per l'imballaggio della merce, che è stato utilizzato all'occorrenza dai killer per trascinare il corpo. Particolare macabro, che fa emergere la volontà degli assassini di uccidere e di far scomparire ogni resto mortale del proprio rivale, per privare i parenti della vittima anche del sollievo di una degna sepoltura. Indagine condotta dagli uomini della Mobile del primo dirigente Luigi Rinella, che stanno ascoltando parenti di uomini scomparsi nel corso degli ultimi due anni. Accertamenti in corso anche a Ponticelli, vista l'alleanza esistente tra i Marfella e alcune famiglie della periferia orientale. 
 

Ma torniamo al racconto di Pasquale Pesce, alla decisione del boss di passare a collaborare con la giustizia. La sua - sembra ormai chiaro - era diventata una guerra personale contro ex affiliati, dopo l'omicidio del fratello Carmine. Una guerra che è andata avanti per almeno dieci anni, che ha scandito il tempo nel quartiere che fu di Gigi e Paolo, i due studenti uccisi per errore la notte del 10 agosto del 2000. 

Ha ucciso per vendetta, ha colpito dopo aver subìto un lutto così grave - ha spiegato - dopo aver perso il fratello. 
Stando a quanto emerso finora, sono almeno una decina ora i delitti su cui Pesce potrebbe fare chiarezza, assumendosi piena responsabilità come mandante o come esecutore materiale. Il resto è storia di affari, un giro di soldi che ha alimentato in questi anni le tre famiglie camorristiche di Pianura. Droga, racket, ma anche cemento selvaggio e capolarato: sono questi gli asset economici della camorra locale, sono questi i moventi di uno scontro armato che va avanti dalla fine degli anni Novanta, quando a controllare lo scettro della malavita rionale erano quelli dei Lago. E sono questi i punti su cui i due pentiti provano a fare chiarezza. A cominciare dal mercato delle case comunali, dalla gestione - con metodi estorsivi - di parti del patrimonio immobiliare che in alcuni lotti residenziali restano ad esclusivo appannaggio dei clan locali. Tre anni fa, fece notizia la denuncia di una donna che era stata costretta a lasciare la propria abitazione su ordine delle cosche di Pianura. 

Ne è nato un processo, ma anche l'esigenza di verificare eventuali responsabilità amministrative in seno agli uffici comunali e della municipalità.
Esiste una graduatoria di assegnatari? Chi sono i responsabili della gestione della graduatoria? Ci sono controlli a campione sulle case comunali assegnate di diritto? Probabile che anche su questo punto ci siano verifiche in corso, grazie al racconto dei due collaboratori di giustizia. Il resto è storia di sangue e vendetta, di stese criminali tra Pianura e Soccavo, di un incrocio esplosivo di parentele e odi sedimentati nel tempo, per vendicare i colpi subiti. A partire dall'omicidio di Carmine Pesce, per finire a uno dei casi di lupara bianca che ora affiora dal terreno, nell'estate rovente degli incendi e del pentimento di due ex killer rivali.

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