Napoli. Poliziotto ferito gravemente. Il giudice: «Rende voleva uccidere»

Napoli. Poliziotto ferito gravemente. Il giudice: «Rende voleva uccidere»
di Viviana Lanza
Martedì 27 Settembre 2016, 09:26
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Non fu un errore né un eccessivo tentativo di legittima difesa. Non fu nemmeno un’azione programmata, perché l’arma doveva servire a rendere più efficace la minaccia per riscuotere il pizzo. Ma quando Raffaele Rende fece fuoco, ferendo gravemente il sovrintendente della polizia Nicola Barbato, «era animato dalla volontà di uccidere». Lo scrive il giudice Giuliana Pollio nei motivi della sentenza depositati a tre mesi esatti dalla condanna, al termine di un processo con rito abbreviato, a 14 anni di carcere per Rende, accusato di tentato omicidio e tentata estorsione, e a 3 anni per Roberto Gerard, suo complice nell’estorsione tentata al negozio di giocattoli di via Leopardi a Fuorigrotta. Lo avevano preso di mira sin dalla sera della inaugurazione, il 14 settembre dello scorso anno, battendo cassa a nome «degli amici di Fuorigrotta». La polizia iniziò a indagare. La sera del 24 settembre erano di pattuglia i poliziotti Nicola Barbato e Giuseppe Tuccillo, non indossavano la divisa ed erano in una comune Fiat Panda. Rende arrivò assieme a Gerard, caricò la pistola e si introdusse nell’abitacolo dalla portiera posteriore rinnovando la minaccia: «Pagate o chiudete». Poche parole, 7 secondi appena, poi la raffica di 7 proiettili che andarono contro sedile, portiera, finestrino. Uno ridusse in fin di vita Barbato, costringendolo per sempre su una sedia a rotelle (solo cinque giorni fa il poliziotto ha potuto fare ritorno a casa). Non ha convinto la versione di Rende che ha raccontato di aver sparato per difesa temendo, alla vista della pistola d’ordinanza, che i due uomini in auto fossero malviventi di un clan rivale, perché Tuccillo ha raccontato di essersi subito qualificato «e nonostante ciò - precisa il giudice - Rende non ha desistito dall’azione criminosa». Da escludere anche che l’alto numero di colpi non andati a segno sia indice di una volontà diversa da quella di uccidere, anzi per il giudice rafforzerebbe la tesi accusatoria pur escludendo per il tentato omicidio l’aggravante camorristica perché «il fine perseguito era quello di assicurarsi la fuga e sottrarsi all’arresto». La difesa (avvocati Antonella Regine e Barbara Gatti) prepara il ricorso in Appello.
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