Sconto di pena per il boss del Vomero Luigi Cimmino, libero tra un anno

Luigi Cimmino al momento dell'arresto
Luigi Cimmino al momento dell'arresto
Lunedì 11 Dicembre 2017, 22:56 - Ultimo agg. 12 Dicembre, 07:52
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Condanna dimezzata in Appello e fine pena più vicino per Luigi Cimmino, per gli inquirenti boss della camorra del Vomero, personaggio di spessore criminale con alle spalle una storia di vicende giudiziarie e malaffare che lo ha visto anche associato a una delle pagine più tristi della città, la morte di una mamma innocente, Silvia Ruotolo, assassinata per errore a Salita Arenella nel giugno 1997 in un agguato di camorra il cui vero obiettivo avrebbe dovuto essere proprio lui, Cimmino. Da allora di tempo ne è passato, Luigi Cimmino in aula si è detto distante dalla camorra di quegli anni. Di fronte alle conversazioni intercettate con le microspie da cui il boss era ossessionato e dinanzi alle ricostruzioni dell’Antimafia che lo accusavano di aver approfittato della libertà vigilata per provare a ricomporre il clan imponendo il pizzo a commercianti e imprenditori della zona collinare, Cimmino si era difeso: «A Napoli ero tornato soltanto per il mio nipotino. Da questa nuova camorra mi dissocio».

Ieri i giudici della terza sezione della Corte di Appello lo hanno condannato a tre anni e sei mesi di reclusione, a fronte dei sette anni della sentenza di primo grado e della richiesta a diciotto anni di carcere che per l’imputato aveva sostenuto la Procura impugnando il primo verdetto. Uno sconto di pena che rende più vicino il ritorno in libertà di Cimmino. Il boss fu arrestato circa due anni fa tra gli applausi di incoraggiamento di una folla di parenti e conoscenti che si riunì fuori alla caserma da cui il boss uscì in manette. E, considerato che in cella ha scontato due anni, quindi più della metà della pena, c’è da aspettarsi che possa tornare presto tra quella folla.
 

Sul dimezzamento della condanna quanto abbia influito la sua dichiarazione in aula e quanto la questione relativa alla continuazione con una precedente sentenza sollevata dai suoi difensori (i penalisti Giovanni Esposito Fariello e Dario Vannetiello) lo si saprà con il deposito delle motivazioni previsto tra tre mesi. Ma si propende più per la seconda ipotesi con l’aggiunta della esclusione dell’aggravante camorristica per l’episodio, indicato tra i capi di imputazione, relativo al concorso nella falsificazione di documenti sanitari che sarebbero serviti a Luigi Cimmino per ottenere dal magistrato di Sorveglianza permessi per ritornare a Napoli durante il periodo in cui era vincolato a una casa di lavoro.

Il processo in Corte di Appello si è concluso invece con una conferma del verdetto di primo grado, per Pasquale Palma (4 anni e 8), Pellegrino Ferrante (5 anni e 4 mesi), Raffaele Montalbano (5 anni e 4 mesi), Luigi Festa (6 anni). Al centro delle accuse c’era il pizzo imposto sui lavori di ampliamento dello svincolo della Tangenziale della zona ospedaliera e su quelli di ristrutturazione e ampliamento dell’ospedale Cotugno. «A Napoli tornavo solo per vedere il mio nipotino e per sottopormi a visite mediche» aveva provato a difendersi il boss da imputato. Ma per gli 007 dell’Antimafia la storia sarebbe diversa. Un collaboratore di giustizia ha accusato Cimmino di voler «mettere tutti in ginocchio», cioè di far pagare a tutti il pizzo e tornare a imporre le sue regole nel quartiere dei negozi e delle grandi imprese.

Era luglio 2015 quando Luigi Cimmino finì di nuovo in carcere nell’ambito dell’inchiesta sul racket, sui metodi da camorristi, sui progetti di espansione svelati dai colloqui tra affiliati intercettati dai carabinieri. Intercettare il boss non fu facile perché Cimmino aveva la mania per le microspie e una grande attenzione per le bonifiche delle auto su cui viaggiava. L’indagine ha ricostruito anche gli escamotage per fingersi pazzo con l’aiuto di un medico e i progetti di alleanze criminali e business su ospedali e grandi opere. Tutto racchiuso in accuse che per la Procura antimafia, e per la Procura generale che ne ha sostenuto la tesi in Appello, sarebbero valse la condanna del boss a diciotto anni di carcere. I giudici hanno stabilito una pena di tre anni e mezzo. E tra poco più di un anno, sarà anche espiata
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