Nino D'Angelo conquista il «suo» San Paolo: «Scusa ai giovani per la Napoli che non siamo riusciti a darvi». Omaggio al popolo e a Pino Daniele

Nino D'Angelo conquista il «suo» San Paolo: «Scusa ai giovani per la Napoli che non siamo riusciti a darvi». Omaggio al popolo e a Pino Daniele
di Federico Vacalebre
Sabato 24 Giugno 2017, 21:51 - Ultimo agg. 27 Giugno, 20:26
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«Voglio vivere questi primi 60 anni come un minorenne. E chiedere scusa ai giovani per la Napoli che non siamo riusciti a darvi». Entusiasmo al San Paolo per il live Nino D'Angelo 6.0. La prima canzone è «21.30» per l'ex caschetto biondo davanti a 15mila in delirio, davanti alla curva B.   
 

 

Gianni Simioli presenta il concerto dopo i videoauguri di Lino Banfi, Massino Ranieri, Peppino Di Capri, Cristina Donadio, il sindaco Luigi de Magistris (una bella dose di fischi, per lui, com'era capitato al governatore De Luca in piazza del Plebiscito, prima dello show di Battiato). Nella voce di Nino l'emozione corre il rischio di diventare incrinatura, poi è subito il coro della sua gente. Tre, forse, più generazioni unite. Forse anche due Napoli, forse. «Grazie popolo delle mie canzoni, grazie Napoli, grazie stadio che mi ha visto bambino»: in cielo salgono palloni azzurri, la canzone va a braccetto con il tifo. Poi, subito, «'O schiavo e 'o re», il repertorio del D'Angelo più «politico», voce verace della nazione napoletana. Tanti gli striscioni a lui dedicati: «Jammo ja core pazzo», recita uno. E un altro: «Sempe cu te Nino». 

D'Angelo recita a memoria la formazione del Napoli di Altafini, che perdeva sempre, ora «basta un rinforzo e l'anno prossimo scassiamo tutto». Via con le canzoni dell'era del caschetto: «Batticuore», poi «Fotoromanzo».

E' la volta di «Brava gente» con Franco Ricciardi e Luche': non solo Gomorra, oltre Gomorra. Ode alla «brava gente» delle terre nere. Ricciardi indossa la maglia del Napoli. Suono newpolitano, etnorap, canto d'appartenenza. Luche' rappa «Into 'o rione»: poesia cruda dell'era Co'Sang. Arriva Sal Da Vinci per il duetto di «Voglio penza' a te».

Toni D'Angelo, figlio di Nino, siede in regia video: il concerto diventerà un dvd, superando i problemi tecnici che funestano più volte la serata.  L'amarcord continua: «Sotto 'e stelle», «Pe me tu si'» e «Maledetto treno». Sul maxischermo le immagini dei film anni Ottanta con il caschetto. ll suono è romantico, vintage, distante dagli approdi etnici della produzione più recente.

Poi i rapper: «Jesce sole» si colora dei tamburi di Giovanni Imparato, Rocco Hunt spara il flow di «Nu juorno buono», Clementino - anche lui con T shirt del Napoli - quello di «'O vient» e «Cos cos cos», Daniele Sanzone di A67. Lo chiamano zio, sono una bella famiglia, la musica napoletana senza barriere. Quindi è la volta di «Bella», serenata alla città perduta ma sempre mamma: c'è Gigi Finizio.

Ancora un prezioso incrocio stilistico e generazionale:
«E io te credo» con Enzo Gragnaniello e James Senese che soffia nel suo sax. Da brivido il languido assolo di Senese, che l'ultima volta al San Paolo si era aggiunto a Jovanotti e Ramazzotti per ricordare Pino Daniele. Brunella Selo era la voce femminile originale di «Senza giacca e cravatta»: rieccola, che ugola straordinaria, al centro di un poker di donne che porta sul palco anche Monica Sarnelli, Stefania Lay e Ida Rendano.

E quindi l'apoteosi d'angeliana primo periodo:
«Nu jeans e 'na maglietta». In prima fila sotto il palco c'è anche El Nino Nero, sosia ma di colore del D'Angelo con caschetto. Fortunato Cerlino, il don Pietro Savastano, presta la voce al duetto di «'A storia 'e nisciuno», dialogo triste, solitario y final di un boss con la sua coscienza.

Cerlino parla per tanti: 
«Quest'uomo ha ispirato la parte migliore della mia giovinezza. In anni difficili è stato un faro, non solo per me». Poi, come una cardilla addolorata, Maria Nazionale per «Lolita» e «Jamme ja». Quindi un collage degli anni Ottanta che porta sino a «Popcorn e patatine», alle fondamenta della riforma neomelodica. Le immagini proiettate sul palco ambientano la festa tra luminarie da festa patronale, da sagra di paese. Orgoglio di classe, si può dire, sapendo anche che dietro l'allestimento c'è la mano do Davide Iodice.

«Vai» riporta alla mente quel primo Sanremo, in italiano. Dopo Nino tornò all'Ariston solo usando, in tutto o in parte, la lingua napoletana. Dopo «Il cammino dell'amore» Nino lascia il palco, ma i ragazzi della curva B hanno un solo urlo: «Napoli Napoli Napoli». Sventolano bandiere azzurre, il gran finale reclama «Marì», con il ritorno di Giovanni Imparato, «Nu napulitano» con sua carnalita' Raiz e, naturalmente, «Napoli Napoli».
L'inno calcistico diventa anche inno della città, canta il riscatto negato, la vittoria calcistica non nasconde la sconfitta sociale. Canzoni d'amore e coscienza, insomma. Canzoni veraci. Su
«Nu napulitano» l'elenco dei grandi napoletani, dalla Serao a Scarlatti, da Merola a Eduardo, da Giancarlo Siani a Benedetto Croce, da Totò a Troisi finisce con Pino Daniele. Il San Paolo urla una volta in più «Pino Pino Pino» e D'Angelo intona «Napule 軫Il popolo napoletano se è unito vince, è capace di miracoli. Io sono un miracolo di questo popolo, sono la vittoria di chi non conta» urla Nino. «Napoli Napoli Napoli» come nella notte dello scudetto di trent'anni fa: ci sono anche i fuochi d'artificio finali. 
 

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