Omicidio tatuatore, in aula la fidanzata: «Così riconobbi l'assassino. Non l'ho mai dimenticato»

Omicidio tatuatore, in aula la fidanzata: «Così riconobbi l'assassino. Non l'ho mai dimenticato»
di Viviana Lanza
Giovedì 10 Marzo 2016, 19:25
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«Il suo viso e la sua voce li riconoscerei anche oggi. Ci sono cose che non si dimenticano, come la data del compleanno». Anna Vezzi parla così del responsabile della morte del fidanzato Gianluca Cimminiello, il tatuatore di Casavatore assassinato il 2 febbraio 2010, davanti al suo negozio, per vendetta e gelosia, perché osò reagire alle intimidazioni che uomini del clan degli scissionisti gli avevano rivolto per aiutare un tatuatore loro amico che soffriva la concorrenza di Cimminiello e non tollerava il fatto che fosse bravo e su Facebook aveva postato la foto con il calciatore Lavezzi. 

Anna ha 33 anni, da sei vive in una località segreta, sotto protezione, come testimone di giustizia. Con le spalle rivolte alla telecamera che rimanda le immagini all’aula della quarta Corte d’assise d’appello di Napoli, Anna è tornata oggi a testimoniare al processo contro Vincenzo Russo, imputato per l’omicidio Cimminiello. 

«La sua voce non posso dimenticarla. Quella sera - racconta tornando con la mente a sei anni fa - parlò proprio con me. Finse di voler fare un tatuaggio ma notai che non era interessato ai disegni, si guardava continuamente intorno. La situazione era ambigua e guardai Gianluca che si avvicinò e intervenne facendogli domande sul tipo di tatuaggio che voleva. Lui indicò il braccio e disse che voleva una carpa. Aveva un marcato accento napoletano». Quella voce Anna dice di non averla più dimenticata tanto che quando si ritrovò, quattro mesi più tardi, in una sala del carcere di Poggioreale per l’incidente probatorio «ebbi un sussulto». Cosa accadde? 

«Ero nella stanza, seduta accanto a una scrivania. Con me c’era uno dei carabinieri che mi aveva scortato fin lì. Avevo saputo che l’incidente probatorio non si sarebbe più fatto perché l’imputato si era opposto, il pm stava parlando fuori con altre persone. Sentivo vociare e a un certo punto tra quelle voci riconobbi la sua voce. Mi girai verso il carabiniere e dissi “Sono sicura che è qui fuori, è lui”. Lo raccontai anche al pm». 

E’ uno dei momenti chiave della testimonianza di Anna. Vincenzo Russo, l’imputato accusato di essere l’esecutore materiale del delitto, ascolta in silenzio. L’udienza dura più di tre ore, ogni tanto cambia posizione, si alza, si avvicina alle sbarre, poi si risiede. E’ della sua voce che si parla. E del suo viso. 

Anna racconta di non aver esitato nel riconoscerlo tra decine e decine di altri volti che gli investigatori le mostrarono nei giorni successivi alla sera del delitto. «Mi fecero vedere tante foto, lo riconobbi subito» afferma, spiegando di aver riconosciuto l’imputato sia durante un incontro informale, il 16 febbraio 2010, «quando due carabinieri vennero a casa mia e mi fecero vedere foto stampate in bianco e nero» sia in un incontro ufficiale «il 18 febbraio, due giorni dopo, quando fui convocata in caserma da quegli stessi carabinieri». Un particolare, questo della doppia circostanza, ritenuto rilevante processualmente tanto da concentrare domande e schermaglie processuali del pg Carmine Esposito, difesa (avvocato Giuseppe Ricciulli) e parti civili. 

In aula, ad assistere all’udienza, c’è anche Francesco Clemente, il fratello dell’assessore comunale Alessandra Clemente, in rappresentanza dell’associazione che unisce i familiari delle vittime innocenti della criminalità.
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