Napoli, gommone-killer a Nisida: «Patrizia paralizzata dalla paura»

Napoli, gommone-killer a Nisida: «Patrizia paralizzata dalla paura»
Giovedì 13 Agosto 2009, 10:53 - Ultimo agg. 17 Marzo, 17:02
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NAPOLI (13 agosto) - Le ho urlato ”buttati a mare, buttati a mare, non aver paura”, e intanto quel bolide - prua in alto, massima velocit - puntava dritto su di noi. Poi gli ultimi istanti: Amore, buttati a mare, ti prego salta, il marito che vola in acqua, lo schianto e il nulla. Ricordi allucinati per Bruno Esposito, marito dell’ultima vittima di impunità e probabile strafottenza nel golfo di Napoli. È sotto choc, in casa, circondato dai parenti, assalito da incubi ricorrenti. Lui, dirigente di una casa editrice, con un diploma in scienze nautiche in tasca, chiuso nella sua abitazione di via Petrarca, al civico 79.





Tapparelle abbassate, senso di impotenza per la morte di Patrizia Cerbella. Due figlie: Alessia, 27 anni, che ha appreso la notizia della morte della mamma in Messico, a Cancun, dove era in vacanza con amici. Per lei, oltre al dramma della perdita, la necessità di sbrigare in ambasciata le pratiche del rientro, per trovarsi a Napoli per i funerali della madre. L’altra figlia, Barbara, 23 anni, stroncata dal dolore. Ma è un intero nucleo familiare a masticare rabbia e impotenza. Con discrezione, controllando i nervi e affidandosi a toni signorili, chiedono come sia potuto accadere: «Perché un ragazzino di 21 anni poteva guidare un bolide di quelle dimensioni? Perché è tanto facile avere una patente e poter guidare un gommone provvisto di 500 cavalli? Perché in strada si controllano caschi e scooter e in mare c’è l’assenza di regole?».



Ma sono quelle scene di un tranquillo pomeriggio al mare a rimanere scolpite nella mente di tutti. Il marito l’ha spiegato prima di rimanere sotto choc: «Mia moglie ha urlato, ha detto ”questo ci colpisce”, le ho urlato di tuffarsi, ma è rimasta paralizzata». Marito e moglie (entrambi provvisti di patente nautica) erano andati a Nisida a prendere un po’ di sole, approfittando della brezza pomeridiana. La loro barca era saldamente ancorata.



Accanto alla loro imbarcazione, c’erano altri natanti, c’erano donne e bambini a pochi metri dallo schianto, che hanno rischiato di essere sommersi nello scontro. Ma la scena peggiore è toccata ancora a Bruno Esposito, al marito di Patrizia Cerbella. Subito dopo il crash, una volta in acqua, non ha trovato il corpo della moglie scaraventato in mare. Si è immerso. Ed ha visto in profondità la sagoma della moglie con le braccia prive di movimento, l’ha vista affondare lentamente senza alcuna reazione: «Mi sono tuffata e l’ho riportata a galla, era svenuta, l’abbiamo portata a bordo di quel gommone l’abbiamo portata a Mergellina.



Per qualche minuto ha ripreso conoscenza. Soffriva, sentiva dolore, poi una volta in ospedale ho pregato che potesse salvarsi». Decine di amici e parenti, sconforto, rabbia: «Nessuno rispetta le regole. Lo Stato non esiste, non è in grado di tutelare le persone per bene: Patrizia era a prendere il sole, ancorata assieme ad altre barche, perché consentire a un ragazzino di armeggiare con un bolide che dovrebbe guidare una persona esperta, matura? Eppure quando si esce dalla battigia, bisognerebbe usare i remi, non il motore, perché nessuno controlla che le regole vengano rispettate?».



Una maschera di dolore anche sul volto del padre della donna uccisa. Sono le cinque, in via Petrarca, arriva un uomo brizzolato, va a casa della figlia che non c’è più: «Perdere una figlia quando hai ottanta anni è un dolore che non puoi sopportare. Passi una vita a proteggere tua figlia, poi te la strappano via così, credetemi tutto ciò è spietato».