«Più forza ai Poli specialistici
basta ospedali fantasma»

«Più forza ai Poli specialistici basta ospedali fantasma»
di Maria Pirro
Lunedì 23 Maggio 2016, 00:43 - Ultimo agg. 17:02
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«Ci sono alcune patologie come il cancro che, per essere affrontate, richiedono qualità, esperienza, tecnologia ed équipe multidisciplinari: nel tempo, innanzitutto gli interventi chirurgici per questo tipo di trattamenti non potranno più essere fatti in qualunque ospedale in Campania. Adotteremo misure ad hoc, progressivamente, per rendere adeguati i livelli di assistenza». Lo dice Joseph Polimeni, commissario governativo chiamato a mettere ordine in un sistema sanitario regionale frammentato e rischioso, dove ci sono decine di strutture che effettuano, ad esempio, cinque o meno di dieci operazioni all’anno anziché le 150 previste dalle linee guida nazionali e internazionali (link). 

Quanto può incidere il nuovo piano ospedaliero?
«Innanzitutto, si tratta di un atto dovuto, necessario per guardare al futuro: è da considerarsi alquanto strano che la Campania facesse ancora riferimento a una rete ospedaliera programmata sei anni fa. Dal 2010 sono cambiati tanti parametri e leggi di riferimento: per questo, serve una cornice che possa tenere dentro tutte le nuove indicazioni, adeguando l’assistenza agli standard nazionali, un obiettivo sollecitato dal ministero».

Nella stesura del documento, lei stesso puntualizza che la rete ospedaliera, appena ridisegnata, non può bastare a eliminare tutti i problemi, tale è il groviglio trovato. Per quale motivo?
«È chiaro che questo piano rappresenta solo un primo pezzo nel puzzle più complesso della programmazione sanitaria da realizzare con altri decreti».

Quali le azioni specifiche?
«Si può migliorare, e molto, nel percorso nascita e nella riduzione di parti con tagli cesarei, ma anche sui tempi di intervento per le fratture del femore. Le strategie sono già chiare, da attuare entro l’anno».

Prima, qual è il prossimo passo nella riorganizzazione?
«Manca ancora un piano per definire l’assistenza territoriale e integrare i servizi con la rete ospedaliera, attraverso l’individuazione di case della salute e altri presidi sanitari, valorizzando il ruolo dei medici di famiglia e dei pediatri nonché gli specialisti ambulatoriali. Per procedere, è già pronta una bozza. E poi, occorre puntare sulle reti specialistiche, individuando chi fa cosa tramite procedimenti standardizzati, e ridefinire i rapporti con le strutture universitarie. Con la Sun il nuovo protocollo d’intesa è appena stato firmato, con la Federico II il quadro inizia a delinearsi per raggiungere un accordo nei prossimi giorni».

I protocolli d’intesa tra Regione e Università, in questi giorni all’esame, prevedono che i Policlinici entrino nella rete d’emergenza?
«Sì, è previsto: i dettagli sulla collaborazione saranno precisati nelle prossime settimane».

Non si torna indietro, insomma.
«Il piano ospedaliero deve passare anche al vaglio dei ministeri competenti ed è aperto a osservazioni e integrazioni, ma averlo presentato attraverso un decreto commissariale è un modo più chiaro e forte di procedere, per poter provvedere anche al resto, ad esempio a un calcolo preciso del fabbisogno di personale e agli investimenti in edilizia sanitaria in base alla programmazione nazionale».

Dalla chirurgia oncologica in mini-strutture ai tempi lunghi per un’angioplastica per i malati di cuore: come sciogliere gli altri nodi irrisolti dopo decenni?
«Si tratta di argomenti complessi: per ognuno serve una strategia. Di certo, la letteratura scientifica indica che al di sotto di certe soglie e volumi di attività i risultati cominciano a diventare scarsi ed è necessario intervenire. L’obiettivo è quello di mantenere, da una parte, una rete capillare sul territorio per facilitare l’accesso alle cure, penso alla radioterapia alla chemio o al follow up, ma è fondamentale, dall’altra parte, concentrare quelle casistiche complesse in centri che hanno alti volumi di attività, innanzitutto per tutti gli interventi oncologici».

Ma perché non fermare subito quelle strutture che effettuato 5 interventi all’anno anziché 150 indicati come standard per il tumore al seno?
«Non si è fatto adesso perché il piano è molto complesso: precisare i dettagli avrebbe significato dover scrivere 30mila pagine invece di 150. Ma per ogni settore seguiranno i decreti».

Per i risultati prevede tempi lunghi?
«Oggettivamente, c’è molto da fare. I problemi della sanità in Campania non possono essere risolti in due settimane e neanche in due mesi: occorre affrontarli con una programmazione triennale, con un grande sforzo anche da parte degli operatori sanitari, e con risorse aggiuntive, soprattutto attraverso una forte responsabilizzazione dei manager di aziende ospedaliere e Asl che ogni giorno devono adottare le scelte più urgenti e importanti sul campo».

Intanto, a Procida è esplosa la rivolta: per i primi cambiamenti.
«Ma il piano non prevede da subito alcun cambiamento perché non entra in vigore immediatamente, ma progressivamente, nel triennio. E io non sono chiuso in una torre di avorio, così come anche il subcommisario Claudio D’Amario è aperta al confronto. Però, a Procida la riorganizzazione prevede comunque che ci sia un ospedale di comunità e un primo soccorso con la possibilità di stabilizzare i pazienti più gravi e trasferirli in ospedali più attrezzati: non si cancella l’assistenza ma si danno, in prospettiva, garanzie diverse: concretezza anziché false certezze, lavorando più su contenuti piuttosto sulle etichette. Detto questo, ogni suggerimento anche degli enti locali verrà valutato». 

Negli ultimi decenni, le guerre di campanile, legittime e no, hanno portato anche a duplicazioni e inefficienze. C’è questo rischio?
«Il piano dà indicazioni chiare, ma ci vuole una forza che spinge per realizzarlo, che deve essere non solo tecnica, ma politica e sociale».

C’è questa spinta, innanzitutto da parte della Regione?
«Il piano è stato redatto, in parte, recependo anche interessanti contributi dai collaboratori del governatore, ed è aperto al confronto per arrivare a una visione quanto più possibile condivisa. Credo che se le cose vengono fatte con razionalità e determinazione, comunicandole bene, si possano realizzare. Sono fiducioso».

Quali sono le aree più penalizzate dall’attuale sistema sanitario?
«Ci sono zone sottodimensionate nell’offerta dei posti letto, come la Asl Napoli 2 Nord e 3 Sud (in pratica tutto l’hinterland partenopeo) e Caserta, dove servono investimenti per realizzare altri ospedali o vanno attivati letti aggiuntivi nelle strutture già esistenti. Anche il privato può contribuire a migliorare l’offerta pubblica, ma queste sono scelte che spettano alla politica».

Le cliniche con meno di 60 posti letto dovrebbero, però, essere accorpate o riconvertite: come si conciliano i due obiettivi?
«Le case di cura in Campania garantiscono un’offerta significativa, da valorizzare ancora di più integrandola con l’offerta pubblica.

In particolare, le strutture devono rientrare anche nelle reti per patologie di emergenza; mentre i percorsi di accorpamento e riconversione sono possibili in settori in cui l’offerta di assistenza è carente come in alcune specifiche discipline come la riabilitazione e la lungodegenza».

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