Pozzuoli, racket su parcheggi
e ambulanze

Pozzuoli, racket su parcheggi e ambulanze
di ​Nello Mazzone
Mercoledì 30 Novembre 2016, 15:32
3 Minuti di Lettura

POZZUOLI. Sparatorie, pestaggi, minacce di morte e un fiume di denaro ottenuto con il racket e investito nel mercato della droga. A finire sotto lo scacco del clan Longobardi-Beneduce c'erano gli imprenditori edili degli appalti pubblici che dovevano dare una percentuale dei loro guadagni, i panettieri che dovevano regalare chili di pane e pizze, i parcheggiatori abusivi costretti a pagare una percentuale sugli incassi e a fare da «sentinelle» per le piazze di spaccio, ma anche i gestori privati del servizio ambulanze del 118 dell'ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. Tutti sotto racket. L'hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Napoli e della compagnia di Pozzuoli diretta dal capitano Elio Norino, che all'alba di ieri su ordine della Dda di Napoli hanno fatto scattare gli arresti per 39 presunti affiliati ai Longobardi-Beneduce. I pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, coordinati dall'aggiunto Filippo Beatrice, l'hanno ribattezzata in codice «Operazione Iron Man», dal nome dei due presunti nuovi capiclan flegrei Antonio e Andrea Ferro. Ritenuti i presunti eredi criminali degli storici capiclan Gaetano Beneduce e Gennaro Longobardi, quest'ultimo tornato un anno fa a Pozzuoli dopo 13 anni di reclusione nel carcere milanese di Opera.

Nei confronti di altri nove indagati il gip Vincenzo Alabiso ha disposto la misura cautelare dell'obbligo di firma, mentre altre 31 persone sono state indagate a piede libero. Ipotesi accusatorie che vanno, a vario titolo, dall'estorsione allo spaccio di droga, dalle lesioni personali alle minacce. Tutto aggravato dal metodo mafioso. E dalle accuse della Dda emerge un quadro a tinte fosche della zona tra Pozzuoli, Quarto e Giugliano. Sulla litoranea, dal lungomare di via Napoli alla costa di Licola, gli emissari del clan andavano a battere cassa imponendo il pizzo a bar, ristoranti, chalet, lidi e campeggi. A Quarto, invece, venivano taglieggiati commercianti e imprenditori edili e veniva deportato chi si rifiutava di pagare: caricati in macchina con la forza, chi non pagava il pizzo veniva portato sulla «montagna di Quarto», zona ai confini con Marano, e pestato a sangue. Lontano da occhi e orecchie indiscrete. Lo raccontano diversi ex affiliati di spicco del sodalizio, oggi diventati collaboratori di giustizia.

Nei verbali degli interrogatori, resi ai pm dell'Antimafia in località protette e nelle carceri di mezza Italia, i collaboratori hanno raccontato la genesi di molti atti intimidatori che si sono verificati negli ultimi anni. La riorganizzazione del clan inizia, secondo i pm, nel 2010: all'indomani degli 86 arresti dell'operazione anticamorra «Penelope», le redini criminali sarebbero state prese dai fratelli Ferro. Con loro passano anche gli ex affiliati della cosca Pagliuca, ma nel 2013 viene scarcerato il presunto capocosca Nicola Palumbo, che insieme con Alessandro Iannone avrebbe gestito le estorsioni, lasciando al gruppo dei Ferro lo spaccio di droga. Il core-business della camorra puteolana sono le piazze di spaccio al Lotto 5 e 9 di Monterusciello e nei 600 Alloggi del rione Toiano: marijuana e hashish, arrivata dalla Spagna e finanziata dalle estorsioni fatte da Palumbo. Anche i mercatini rionali finiscono nel mirino del pizzo, come i parcheggi e le panetterie. Ma gli equilibri criminali sono precari e nel 2014 la pax camorristica si rompe con Napoleone Del Sole, oggi collaboratore di giustizia, che decide di staccarsi da Palumbo e mettersi in proprio. Una egemonia contrastata dai fratelli Ferro e dai figli di Gaetano Beneduce, tutti finiti in manette nel blitz di ieri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA