Processi lenti, Napoli al top
36 milioni di risarcimenti

Processi lenti, Napoli al top 36 milioni di risarcimenti
di Giuseppe Crimaldi
Mercoledì 26 Aprile 2017, 00:00 - Ultimo agg. 08:09
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 Quanto dura una causa civile in Italia? Tanto, anzi troppo. A Napoli e a Salerno - due tra le sedi di distretto giudiziarie più intasate in quanto a carichi di lavoro - possono passare anche 19 anni e mezzo per arrivare al solo giudizio di primo grado. E quali sono le conseguenze dei ritardi della giurisdizione che ricadono sull’amministrazione della giustizia in termini di risarcimento per l’insopportabile durata dei processi? Costi immensi. Quantificabili in una cifra a sei zero: 36 milioni di euro. A tanto ammontano - nel solo distretto della Corte di Appello di Napoli - i danni che lo Stato deve risarcire per gli effetti della legge Pinto che stabilisce un’equa riparazione per le conseguenze dell’«irragionevole durata di un processo».

Solo qualche mese fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva posto l’accento su quel lato della medaglia - il settore civile - che troppo spesso rimane in un cono d’ombra rispetto alle immediatezze e ai clamori del penale. «La semplificazione strutturale e la conseguente maggiore efficienza operativa nel settore civile - aveva detto - costituiscono il presupposto per rispondere con maggiore tempestività alle esigenze degli uffici giudiziari, sostenendo i processi di rinnovamento dei relativi assetti organizzativi e lo sviluppo delle tecnologie in tutti i servizi dell’amministrazione della giustizia».

Eppure, al di là dei buoni propositi, la situazione in molte sedi di distretto italiane propone una realtà ben diversa, talvolta drammatica e in alcuni casi disastrosa. La tendenza che porta a eccessi patologici di litigiosità, associata al trend che vede aumentare progressivamente le cause contro gli enti pubblici, rischia di mettere in ginocchio la macchina giudiziaria civile. Dilatando a dismisura i tempi dei procedimenti. Uno dei casi limite è quello capitato a E.C., 69enne pensionato salernitano che ancora si ritrova tra le mani quel foglio di carta ormai ingiallito contenente il dispositivo della prima sezione civile bis della Corte d’Appello di Napoli con il quale gli venne riconosciuto un ristoro economico per danni vantati ormai da 23 anni.

Un’odissea, la sua, iniziata addirittura nel secolo scorso: era il due febbraio del 1994 quando si vide notificare un atto di citazione con il quale un vicino di casa lo trascinava in tribunale per questioni rivelatesi poi infondate e dunque insussistenti. Quella paginetta dattiloscritta sulla quale sono stampati i motivi della decisione che gli riconosce il risarcimento di ottomila euro per gli effetti della legge Pinto, si trasforma oggi nella più nitida espressione di una Caporetto dello Stato: la resa di una giustizia che si conferma lenta e tardiva.

Fate bene attenzione alle date. Il procedimento civile inizia davanti ai giudici del Tribunale di Salerno nel 1994.
Di rinvio in rinvio, di udienze andate a vuoto in udienze posticipate, la sentenza che dichiara inammissibile la domanda del ricorrente arriva dopo diciannove anni e viene depositata in cancelleria il primo luglio 2013. Diciannove anni e cinque mesi, per l’esattezza: un termine che induce E.C. a impugnare gli atti chiedendo il risarcimento per irragionevole durata dell’iter giudiziario, concesso poi dalla Corte di Appello di Napoli con decreto firmato un anno dopo - nel luglio 2014 - dal giudice che condanna il ministero della Giustizia al pagamento «senza dilazione» in favore del pensionato.

Ottomila euro, oltre a spese legali e compensi vari. «Il giudizio de quo - concluderà il giudice - ha avuto una durata di 19 anni e cinque mesi ed eccede di 16 anni i limiti temporali di cui alla legge Pinto». Tutto bene? Neanche per sogno. Perché fino ad oggi quegli 8mila euro non sono ancora arrivati. Fatto sta che E.C. attende ancora il risarcimento dovutogli per legge. «Purtroppo - commenta il presidente della Corte d’Appello di Napoli Giuseppe De Carolis - scontiamo antichi ritardi e problemi strutturali complessi. In Italia i giudici civili emettono il quadruplo delle sentenze rispetto ai loro colleghi tedeschi e il doppio di quelli francesi, questo lo dicono i dati ufficiali europei.

A livello nazionale, poi, la produttività dei magistrati in servizio a Napoli e Roma è nettamente più alta rispetto ai carichi di lavoro dei colleghi in servizio a Milano. La gran maggioranza delle cause civili, poi, sono intentate nei confronti di enti pubblici statali, che spesso non pagano perché non hanno liquidità». Tutto questo crea un circuito vizioso che aggrava non solo i carichi di lavoro ma inevitabilmente incide sulla tempistica delle liquidazioni. Ma quali sono i carichi ottimali per garantire un corretto funzionamento della giustizia civile? «Mediamente - risponde De Carolis - ogni giudice dovrebbe evadere un centinaio di fascicoli l’anno, che è una media già abbastanza alta: in realtà deve farsi carico di due-trecento fascicoli, che nonostante tutto riesce a smaltire facendo grandi sacrifici. Il vero problema è riuscire a evadere gli arretrati». 


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